Forse partendo da una piccola opera di Marcel Duchamp, Pharmacie (1914), si colloca l’inizio del
percorso di Stefano Arienti (Asola, Mantova, 1961; vive a
Milano) in esposizione da Massimo Minini. L’opera citata consiste in un
particolare ready made rettificato: una dozzinale “stampa artistica” a
contenuto paesaggistico arricchita da un piccolo punto rosso e dalla scritta
identica al titolo. Un enigma aperto a varie possibilità di lettura. La
dimostrazione di come un intelletto scaltro possa suscitare curiosità partendo
da un oggetto del tutto anonimo.
Pharmacie è, però, un ready made del tutto particolare poiché, pur
trattandosi sempre di un oggetto fabbricato in serie, qui a essere stravolta è
la rappresentazione in esso contenuta e non l’oggetto stesso. La manipolazione
distrugge l’illusione del paesaggio, cancellandone la tridimensionalità per
restituire la stampa al mondo tangibile.
In 96 anni, tuttavia, lo sguardo sul paesaggio è
radicalmente mutato, tanto da far apparire le carte da parati utilizzate da
Arienti oggetti nostalgici.
interferenze in determinati paesaggi tanto consueti quanto anonimi per la
fattura dello scatto fotografico che li ritrae: pur provvisti di precisi riferimenti
geografici, quei ruscelli o scorci boscosi, quei tramonti su panorami lacustri,
infatti, potrebbero esser tanto ovunque quanto in nessun luogo, giacché la
finalità dell’utilizzo è puramente decorativa e non documentativa.
Arienti interviene con tessiture geometriche che, oltre a
stravolgere il contenuto dell’immagine con la loro astrazione, rendono concreto
il supporto, realizzando opere dal sapore squisitamente pittorico. Se osservate
con attenzione, infatti, le opere di Arienti tradiscono una perizia tecnica
impeccabile, riscontrabile nella scelta dell’orientamento del motivo tessuto e
nelle tonalità dei fili utilizzati, che appaiono rigorosamente connesse ai
passaggi cromatici dell’immagine stampata.
Altrove, l’artista incarica una macchina per traforatura
di seguire per filo e per segno le silhouette di motivi floreali da lui stesso
scattati. Le figure sono quindi rese anonime dalla macchina, che ne restituisce
solo i contorni. In altre opere, come a chiudere il cerchio, trova spazio anche
la mano dell’artista, che chirurgicamente ripercorre con inchiostro dorato
tracce di foglie scalfite sul marmo.
L’immagine, l’oggetto, la macchina e l’uomo tessono così
una complessa serie di rapporti, che tracciano una nuova finestra sui vari modi
di rappresentare il mondo.
Per riprendere la citazione iniziale, Arienti rende dunque
celibi, slegati dalla loro funzione originaria, paesaggi e motivi floreali,
dimostrando ancora una volta quanto sia “facile” stupire con poco e quanto
oggetti anonimi possono diventare fantastici e curiosi con interventi minimi,
frutto di un punto di vista altro.
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mostra visitata il 18 aprile 2010
dal 10 aprile al 22 maggio 2010
Stefano
Arienti
Galleria Massimo Minini
Via Apollonio, 68 – 25128 Brescia
Orario: da lunedì a venerdì ore 10.30-19.30; sabato ore 15.30-19.30
Ingresso libero
Catalogo disponibile
Info: tel. +39 030303034; fax +39 030392446; info@galleriaminini.it; www.galleriaminini.it
[exibart]
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