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25
settembre 2008
fino al 22.XI.2008 Gregory Crewdson Milano, Photology
milano
Va in scena uno dei più importanti ed eccentrici contemporanei. Gregory Crewdson ricostruisce il suo non-film: Dream House. Con una selezione di scatti del 2002. E il testo in catalogo è di Tilda Swinton...
In occasione della pubblicazione dell’elegante portfolio Dream House, che raccoglie le dodici grandi fotografie presenti in mostra e realizzate nel 2002 (alcune delle quali precedentemente esposte nella grande retrospettiva dedicata al fotografo lo scorso anno a Roma, ma mai raccolte in un progetto autonomo), Gregory Crewdson (New York, 1962) ci racconta il punto di partenza del suo non-film, ambientato in un’abitazione avvolta da un’aura onirica.
Quando l’artista scelse come set il grande ranch del Vermont, la casa era disabitata già da dieci anni: “Conteneva l’atmosfera e tutti gli elementi che si sono conservati nel tempo: questa donna (la proprietaria) ha vissuto per tutta la vita nella casa prima di morire quindici anni fa, e per dieci anni la casa è rimasta così come l’aveva lasciata”, racconta Crewdson. “La famiglia non aveva tolto niente di quello che c’era: i cuscini, l’arredamento, i suoi vestiti e i suoi trucchi sono rimasti comea congelati nel tempo”.
Infatti, le fotografie di Crewdson mostrano scorci insieme reali e onirici. Azioni e porzioni di temporali che sembrano depositarsi e sovrapporsi in un istante, un momento unico e denso, ambiguo, dilatato per un tempo infinito, come se l’apparente normalità della middle class americana fosse una forma fragile, pronta a deflagrare. Così come i rapporti famigliari, sempre in bilico e inclini verso un margine labile, sensazione suggerita anche dalla fisicità dei suoi “attori”, ritratti spesso in pose scomode: sul margine del letto, del divano, del sedile di un’auto, come se si stessero preparando al peggio. “Amo nei film e nelle foto questo senso di terrore, specialmente nella vita di tutti i giorni, ciò che c’è di terrificante nella vita comune. L’esempio che mi piace citare è “Rosemary’s Baby”, che a mio avviso è un film grandissimo, che parla proprio di questo, del senso di terrore che ti circonda, che cospira nella tua vita, nella famiglia”.
La Dream House di Crewdson diventa così un polo magnetico, spiritico, dove i personaggi, interpretati da attori hollywoodiani come Tilda Swinton (autrice anche di un testo in catalogo), Philip Seymour Hoffman, Gwyneth Paltrow, Julian Moore e altri, sono descritti come anime alla deriva: “C’è sempre un senso di solitudine, un essere disconnessi. Cerco sempre di rappresentare un momento particolare tra i momenti, in qualche modo quell’istante che fermo rappresenta sia un prima che un dopo. Non sono particolarmente interessato a ciò che succederà o è appena successo”, continua l’artista americano. “Ciò che mi affascina è concentrarmi nella realizzazione di una singola immagine. Mi piace l’idea che l’immagine resti sempre un mistero anche all’interno di me stesso”.
Una delle cifre più riconoscibili dell’immaginario di Crewdson, oltre all’elaboratezza dei suoi set e alla meticolosa attenzione per ogni dettagliom, è la straordinaria presenza della luce, che l’artista dirige nelle sue scene esattamente come se fosse un attore in carne e ossa: “Mi interessa moltissimo questa presenza della luce e il ruolo che svolge in queste mie fotografie è centrale: alcuni personaggi ne sono attirati come se fossero delle falene. Molte volte le persone che guardano le mie foto ne colgono soprattutto il lato pessimistico e il senso di tristezza, che ovviamente c’è, ma esiste anche la speranza e la possibilità”.
La conclusione ribalta allora il punto di partenza: “Quella speranza per me è rappresentata dalla presenza della luce; ha un che di trascendentale e di salvifico”.
Quando l’artista scelse come set il grande ranch del Vermont, la casa era disabitata già da dieci anni: “Conteneva l’atmosfera e tutti gli elementi che si sono conservati nel tempo: questa donna (la proprietaria) ha vissuto per tutta la vita nella casa prima di morire quindici anni fa, e per dieci anni la casa è rimasta così come l’aveva lasciata”, racconta Crewdson. “La famiglia non aveva tolto niente di quello che c’era: i cuscini, l’arredamento, i suoi vestiti e i suoi trucchi sono rimasti comea congelati nel tempo”.
Infatti, le fotografie di Crewdson mostrano scorci insieme reali e onirici. Azioni e porzioni di temporali che sembrano depositarsi e sovrapporsi in un istante, un momento unico e denso, ambiguo, dilatato per un tempo infinito, come se l’apparente normalità della middle class americana fosse una forma fragile, pronta a deflagrare. Così come i rapporti famigliari, sempre in bilico e inclini verso un margine labile, sensazione suggerita anche dalla fisicità dei suoi “attori”, ritratti spesso in pose scomode: sul margine del letto, del divano, del sedile di un’auto, come se si stessero preparando al peggio. “Amo nei film e nelle foto questo senso di terrore, specialmente nella vita di tutti i giorni, ciò che c’è di terrificante nella vita comune. L’esempio che mi piace citare è “Rosemary’s Baby”, che a mio avviso è un film grandissimo, che parla proprio di questo, del senso di terrore che ti circonda, che cospira nella tua vita, nella famiglia”.
La Dream House di Crewdson diventa così un polo magnetico, spiritico, dove i personaggi, interpretati da attori hollywoodiani come Tilda Swinton (autrice anche di un testo in catalogo), Philip Seymour Hoffman, Gwyneth Paltrow, Julian Moore e altri, sono descritti come anime alla deriva: “C’è sempre un senso di solitudine, un essere disconnessi. Cerco sempre di rappresentare un momento particolare tra i momenti, in qualche modo quell’istante che fermo rappresenta sia un prima che un dopo. Non sono particolarmente interessato a ciò che succederà o è appena successo”, continua l’artista americano. “Ciò che mi affascina è concentrarmi nella realizzazione di una singola immagine. Mi piace l’idea che l’immagine resti sempre un mistero anche all’interno di me stesso”.
Una delle cifre più riconoscibili dell’immaginario di Crewdson, oltre all’elaboratezza dei suoi set e alla meticolosa attenzione per ogni dettagliom, è la straordinaria presenza della luce, che l’artista dirige nelle sue scene esattamente come se fosse un attore in carne e ossa: “Mi interessa moltissimo questa presenza della luce e il ruolo che svolge in queste mie fotografie è centrale: alcuni personaggi ne sono attirati come se fossero delle falene. Molte volte le persone che guardano le mie foto ne colgono soprattutto il lato pessimistico e il senso di tristezza, che ovviamente c’è, ma esiste anche la speranza e la possibilità”.
La conclusione ribalta allora il punto di partenza: “Quella speranza per me è rappresentata dalla presenza della luce; ha un che di trascendentale e di salvifico”.
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dal 17 settembre al 22 novembre 2008
Gregory Crewdson – Dream House
Galleria Photology
Via della Moscova, 25 – 20121 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 11-19
Ingresso libero
Catalogo € 49
Info: tel. +39 026595285; fax +39 02654284; gallery@photology.com; www.photology.com
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