C’è profumo di mare, placido, molle e lagunare, alla
Galleria Crespi. Ce l’ha portato
Marcelo Moscheta (San Paolo del Brasile, 1976; vive
a Campinas), per la prima volta in mostra in Italia, sulle tracce di un’anamnesi
familiare che proprio nel nostro paese trova le sue origini. Più che un viaggio
della memoria,
un viaggio
nella memoria, dunque: l’evocazione di un paesaggio sconosciuto – incognito, rivela
coerentemente il
concept della mostra – ma non per questo impenetrabile.
Il profumo di mare irrompe proprio dai pezzi di
Terra incognita, serie di acquarelli su vecchie
cartoline; marine inizio secolo assemblate nell’apertura di nuovi orizzonti,
luoghi irreali ma credibili, spazi senza storia. Ma, soprattutto, emerge nel
ricordo dell’ultima Biennale, nel suo invito a
Fare mondi. Ecco: Moscheta “fa mondi”.
Manipolando, elaborando, destrutturando e re-inventando quelli che già ci sono.
Ironizzando, tanto, sul concetto di misurazione; giocando con gli strumenti del
cartografo; appropriandosi dei linguaggi del certo, per ribaltarli a servizio
dell’incerto.
Al punto che le
Satellite series, fotografie inquadrate in griglie
topografiche, confondono e disorientano: si tratta forse di paesaggi zoomati da
Google Maps? O sono invece modelli di
texture, dettagli di muri rossi come
deserti e tappeti di muschi fitti come foreste? O forse, ancora, il processo
mimetico è tale che non si tratta né dell’uno né dell’altro: e se fossimo
nell’astratto, e il cordone ombelicale fatto di coordinate in fondo credibile
fosse stato reciso a nostra insaputa?
E poi: è collage o décollage quello composto in
Tourist
info, dove la
mappa del centro storico di Milano, opportunamente imprigionata in una
scacchiera di plastica trasparente, viene smembrata e ricostruita, accostando
monumenti tra loro distanti, perdendosi alla
Debord in un percorso impossibile?
Odore di mare, dicevamo. Un po’ Adriatico, un po’ Mare del
Nord. Perché
Pre.position.post, micro-ritratti di micro-dettagli di alberi milanesi
mappati per latitudine e longitudine, ricorda in qualche modo l’intervento di
Jef
Geys al Padiglione
belga dell’anno scorso: una collezione di piante essiccate, raccolte sui
marciapiedi di tutto il mondo, catalogate con rigore scientifico, identificate –
anche qui – grazie alle coordinate gps.
Una mostra, se vogliamo, site specific, perché modulata su
Milano: le opere, tutte del 2009, nascono in risposta all’invito fatto dalla
galleria all’artista. E dunque, tornando a Venezia, ripensando alle partecipazioni
nazionali e ai “mondi fatti” dagli artisti brasiliani, ci sembra se ne siano
scordato uno. Quello di Moscheta, per profondità dello sguardo, ci sarebbe
stato proprio bene.