La galleria si sfodera, limpida e nuda, per il ritorno di Adriana Cifuentes (Caracas, 1958). Dopo dieci anni di ritiro meditato, la pittrice riprende ad esporre, con una personale atipica. Alle pareti sono disposti, quasi sospesi, una trentina di fogli A4, all’apparenza scarni, senza cornice. Ma l’impatto, fin dalla soglia d’ingresso, è comunque d’effetto. E più ci si avvicina ai disegni, più sembra di guardare dentro tante fessure buie, finestre senza fondo, cicatrici in via di guarigione. Ciò che abbiamo di fronte immancabilmente attrae e repelle. La sensazione è di essere nel mirino di un incantatore. Questo nonostante il deciso infantilismo dei soggetti rappresentati e lo stile, a tratti rupestre, dell’andamento grafico.
Adriana Cifuentes dipinge con pochi materiali e su supporti cartacei esili; generalmente usa comuni articoli di cancelleria. Per dare colore si serve di penne a sfera, pennarelli a punta larga rossi e neri, inserendo saltuariamente sferzate fluorescenti, e per concludere sottolinea alcune parti delle sue composizioni con il correttore bianco. Per distribuire le forme umane, invece, l’artista venezuelana inserisce nei disegni semplici moduli geometrici, combinati poi a seconda della diegesi. Ma per quanto riguarda i contenuti pittorici, tralascia sfridi e sprechi arrivando diretta al cuore del turbamento mentale. Per i racconti che affiorano dai fogli, la mano dell’artista esce dalle modestie, fuori dalle verità della realtà. E viaggia alla deriva, lasciandosi per intero al trasporto psichico.
La Cifuentes lavora attualmente come psichiatra e sembra portarsi addosso la fragilità che la sua continua condizione di ascolto le impartisce. Necessariamente allora, i temi che l’artista affronta seguono con efficacia alcune fasi del percorso analitico, staccandosi, non sempre con chiarezza, dalla situazione dell’intimo soggettivo. Spesso rivisitato, ad esempio, è il tema dello smembramento del corpo umano e della paura della carne. In queste scene intensamente simboliche, la condizione di gravità fisica viene disseminata e alleviata grazie alle manifestazioni dei meccanismi retrostanti i processi onirici.
Il registro pittorico della Cifuentes allora piega verso una curva ascetica, verso l’emisfero centrale, la sede tiepida dell’alma veja. E nella dieresi immaginifica che l’artista mette in atto, compaiono racconti forti. Racconti di incontri con se stessi, episodi di morte della morte, favole di redenzione, frasi formulate per ristabilire la perdita e parole dette per parlare in apnea, senza respiro. Lo stadio crepuscolare, in bilico fra il sogno e la veglia, diventa quindi terreno privilegiato per accompagnare la secchezza estetica. L’opera d’arte diventa un sentiero, un cammino di luce che atterra sul buio come un cielo cieco, come un organo nato solo per provare le proprie paure.
ginevra bria
mostra visitata il 18 gennaio 2007
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