Avevamo lasciato
Gabriele Picco (Brescia, 1974) alla personale
Freud
at Starbucks,
allestita poco più di un anno fa presso la sua galleria di riferimento, la
milanese Francesca Minini. In mostra esibiva i lavori allora più recenti,
principalmente sculture e ready made in cui due o più oggetti, assemblati fra
loro, davano vita a molteplici suggestioni, orientate a dovere dai titoli.
Titoli che lasciavano tracce illuminanti e sorprendenti,
senza le quali sarebbe risultato piuttosto difficile capirne il senso proprio.
Non per niente Giorgio Verzotti ha definito tali opere “
ready-made
umanistici”:
un’aggiunta al termine originale, utile a rivelarne l’intima relazione con il
vissuto del loro autore.
Allo stesso tempo, il testo per Picco è importante al
punto che, in parallelo all’attività di artista visivo, svolge anche quella di
scrittore (ha già pubblicato un romanzo, ed è imminente l’uscita del secondo).
Infatti la dimensione narrativa, quasi fosse un misterioso
incipit, emerge chiara nel testo dedicato
al riquadro forse più surreale del murales, dipinto per l’occasione su un muro
esterno della galleria bresciana. Vi sono raffigurate quattro piscine,
contenenti altrettanti organi sensoriali: un naso, una bocca, gli occhi e un
orecchio.
Si registra qui uno sbilanciamento verso un maggior grado
d’ermetismo (fin quasi a ricordare simbologie alla
Chien andalou), mentre in altri casi riesce
meglio la messa a fuoco. In una scena, ad esempio, una tavola è preparata per
il pasto, però il piatto è vuoto e il commensale se ne sta nascosto, nella
vigile attesa di un evento che appare allo stesso tempo assurdo e suggestivo.
“Un
giorno o l’altro una stella cadente ci piomberà in cucina”, recita il testo sottostante, a
far da poetica e delirante didascalia.
Ma è il titolo della mostra,
Disegnatore di parrucche
messo al muro, a
decifrare con autoironia il quadro centrale del lungo murales. Arguto e persino
provocatorio, eppure sempre misurato, Picco mostra quanto il legame testo-immagine
possa diventare un intreccio che si confonde, sino a far coincidere in un gioco
interpretativo i diversi elementi coinvolti.
Più evidente è invece la vena esistenzialista nei dipinti
su tela sistemati all’interno. Dove le vedute sono dominate da paesaggi spogli
ed enigmatici, in cui l’uomo (o la sua traccia) sembra solo e precario, come
abbandonato a se stesso. Sia che voli sulle ali d’un aereo a migliaia di metri
d’altezza, oppure che tenti invano di riflettere, in una variante
nonsense della storia di Narciso, la sua
immagine dentro uno specchio d’acqua.
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Mi sembra un progetto un po' troppo ambizioso. Un tentativo di riempire il vuoto con la semplice narrazione...
Ma Francesca+Massimo=Museo Minini?..sintomi di una certa carenza museale. Picco e' bravo, anche se perpetua dagli anni 90 il medesimo approccio. Forse un sistema più clemente gli avrebbe giovato nell'evoluzione.