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21
dicembre 2009
fino al 23.XII.2009 Hiwa K Milano, Prometeo Gallery
milano
Quatees è qualcosa d’irremovibile, che fa ostacolo. Ma il progetto espositivo che ne porta il nome non cerca di muoverlo o diminuirne la presenza. Ne misura piuttosto gli esiti, i frutti amari d’una condizione di precarietà e costrizione...
Poche
informazioni telegrafiche trapelano sulla biografia di Hiwa K, artista curdo che dal 2002 vive
in Germania come rifugiato politico: un diploma alla suola secondaria in Iraq e
una formazione artistica poliedrica e autodidatta. Oltre che a una lunga serie
d’importanti convocazioni europee.
Prometeogallery
ospita Quatees,
sezione del progetto Muntadas, il cui obiettivo è la rimemorazione delle storie simboliche di quattro
iracheni. Attraverso il filtro della quotidianità del popolo, cadenzata
dall’irruenza della storia politica e bellica del paese, Hiwa K ricuce
l’identità di un luogo dove il banale vivere contemporaneo sembra intriso
d’interessi internazionali e ricorsi storici.
Protagonista dell’indagine
di questo primo episodio è il disertore Abas, elettrotecnico sfuggito alla
morsa dell’esercito e obbligato alla clandestinità. In una forzata condizione
di latitanza nel pieno della guerra fratricida tra Iraq e Iran, Abas si
reinventa come costruttore di antenne, mosso dal sogno di uno spiraglio di
controinformazione. La manualità e l’ingegno di Abas si riconfigurano, si
adeguano a “fare tutto in piccolo” per non dare nell’occhio. Ma allo stesso
tempo aprono un accesso a un’immaginazione e a una creatività inedite: “Ho
cominciato a costruire delle antenne differenti da quelle comuni. Rompere,
unire e torcere le forme, forse aumentava la probabilità di prendere altri
segnali”. Strumenti
ritorti, che raccontano la volontà di guadagnarsi con arguzia uno sguardo
imparziale sul proprio destino, oltrepassando la cortina informativa del regime
iracheno.
Le immagini della mostra si generano in un terreno di confine, dove
l’extra-artistico ha il sopravvento sull’operazione artistica in sé. Hiwa K
segue senza ingerenza il costruirsi di un filone poetico nelle situazioni, per
trasformarlo poi in occasione artistica: in un intrico di “politica, desiderio, ingegno
amatoriale”,
l’azione di Hiwa K si limita a seguire il filo mentale di Abas che, tra le
macerie e rottami di Tandjaro, getta per lui le fondamenta del lavoro di Quatees.
L’artista è semplice bacino di raccolta di spunti iconici. La serie di video
delle conversazioni con Abas, vero e proprio materiale documentario realizzato
in low-fi,
sono un pedinamento del reale, che asseconda senza regia l’incedere quasi
performativo di Abas. Anche gli oggetti-sculture, indiscernibili dai loro
referenti reali, giacciono abbandonate in un’ordinata installazione che
produce, in una visione sinottica, la morfologia dell’immaginazione di Abas.
Le numerose intuizioni formali con cui l’iracheno costruiva antenne si
trasferiscono in altrettante versioni scultoree, accompagnati da serie di
disegni, simili a schizzi tracciati a posteriori, che conservano un’ideazione e
segnano la traccia di ciò che si mischierà forse di nuovo alla spazzatura.
L’allestimento scelto per Prometeogallery, basato su un rifiuto dell’editing e
sulla scarsa formalizzazione dell’oggetto artistico, ha quel sapore di
transitorio e instabile che trasforma un trauma reale in un laboratorio del
sospeso.
informazioni telegrafiche trapelano sulla biografia di Hiwa K, artista curdo che dal 2002 vive
in Germania come rifugiato politico: un diploma alla suola secondaria in Iraq e
una formazione artistica poliedrica e autodidatta. Oltre che a una lunga serie
d’importanti convocazioni europee.
Prometeogallery
ospita Quatees,
sezione del progetto Muntadas, il cui obiettivo è la rimemorazione delle storie simboliche di quattro
iracheni. Attraverso il filtro della quotidianità del popolo, cadenzata
dall’irruenza della storia politica e bellica del paese, Hiwa K ricuce
l’identità di un luogo dove il banale vivere contemporaneo sembra intriso
d’interessi internazionali e ricorsi storici.
Protagonista dell’indagine
di questo primo episodio è il disertore Abas, elettrotecnico sfuggito alla
morsa dell’esercito e obbligato alla clandestinità. In una forzata condizione
di latitanza nel pieno della guerra fratricida tra Iraq e Iran, Abas si
reinventa come costruttore di antenne, mosso dal sogno di uno spiraglio di
controinformazione. La manualità e l’ingegno di Abas si riconfigurano, si
adeguano a “fare tutto in piccolo” per non dare nell’occhio. Ma allo stesso
tempo aprono un accesso a un’immaginazione e a una creatività inedite: “Ho
cominciato a costruire delle antenne differenti da quelle comuni. Rompere,
unire e torcere le forme, forse aumentava la probabilità di prendere altri
segnali”. Strumenti
ritorti, che raccontano la volontà di guadagnarsi con arguzia uno sguardo
imparziale sul proprio destino, oltrepassando la cortina informativa del regime
iracheno.
Le immagini della mostra si generano in un terreno di confine, dove
l’extra-artistico ha il sopravvento sull’operazione artistica in sé. Hiwa K
segue senza ingerenza il costruirsi di un filone poetico nelle situazioni, per
trasformarlo poi in occasione artistica: in un intrico di “politica, desiderio, ingegno
amatoriale”,
l’azione di Hiwa K si limita a seguire il filo mentale di Abas che, tra le
macerie e rottami di Tandjaro, getta per lui le fondamenta del lavoro di Quatees.
L’artista è semplice bacino di raccolta di spunti iconici. La serie di video
delle conversazioni con Abas, vero e proprio materiale documentario realizzato
in low-fi,
sono un pedinamento del reale, che asseconda senza regia l’incedere quasi
performativo di Abas. Anche gli oggetti-sculture, indiscernibili dai loro
referenti reali, giacciono abbandonate in un’ordinata installazione che
produce, in una visione sinottica, la morfologia dell’immaginazione di Abas.
Le numerose intuizioni formali con cui l’iracheno costruiva antenne si
trasferiscono in altrettante versioni scultoree, accompagnati da serie di
disegni, simili a schizzi tracciati a posteriori, che conservano un’ideazione e
segnano la traccia di ciò che si mischierà forse di nuovo alla spazzatura.
L’allestimento scelto per Prometeogallery, basato su un rifiuto dell’editing e
sulla scarsa formalizzazione dell’oggetto artistico, ha quel sapore di
transitorio e instabile che trasforma un trauma reale in un laboratorio del
sospeso.
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a
cura di Denis Isaia
Prometeogallery
Via Ventura, 3 (zona Ventura) – 20134 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 11-14 e 15-19
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 0226924450; info@prometeogallery.com;
www.prometeogallery.com
[exibart]
Stiamo raschiando il fondo dell’arte “impegnata” e quindi, rimanendo a tema, torniamo su soluzioni più miti e argute. Anche se l’artista proveniente da luoghi politicamente “esotici” ha veramente dato quello che poteva dare. Si finisce per forzare sulla strada dell’arte manifestazioni inconsapevoli e “amatoriali”.Questo ci può stare ma senza una “sistematicità ruffiana” che ritorna “professionale” e subdola. In questi casi, credo che il curatore “consapevole” abbia una certa responsabilità nel tradurre forzatamente e focalizzare il campionario dell’artista inconsapevole. Ricorda troppo quei circhi equestri che andavano a prelevare da oriente freak e fenomeni da baraccone da presentare remuneramente all’occidente. Non mi sembra più il caso.