Stati Uniti. Bianca – soprannominata Coco dalla madre – ha una sorella maggiore, Sierra (o Rosie per i familiari), e una vita alquanto atipica. Nelle due ragazze scorre sangue cherokee. Il padre, che vedono per le vacanze estive, è un seguace di peyotismo e sciamanesimo; la madre, insegnante e artista, le trascina con sé nell’incessante peregrinazione per gli Usa.
Coco e Rosie, però, a un certo punto si perdono di vista, quando la seconda viene allontanata da casa, appena quattordicenne, per finire dapprima in collegio e infine a Parigi, a studiare canto lirico. Coco, invece, rimane in America, dove studia sociologia e arti visive, si appassiona ai tatuaggi e si dichiara apertamente omosessuale. Passano dieci anni prima che le due si ritrovino, nel 2003, quando Bianca, decisa a cambiare vita, lascia Brooklyn e suona alla porta di Sierra. Insieme, le due sorelle danno vita a un progetto musicale, chiamato proprio Cocorosie, ma continuano parallelamente a dedicarsi alle proprie passioni.
È così che
Bianca Casady (Hawaii; vive a Parigi) approda nella galleria d’arte più cool di New York, Deitch Project, e ora a Milano, da Patricia Armocida, portando con sé tutto il bagaglio di una vita fatta di rimandi e suggestioni, di sofferenza e leggerezza, di colori acidi, scintillanti, scuri, bui. Una lotta, un
combattimento spirituale, come suggerisce il titolo della mostra, alla ricerca dell’identità.
Identità violata, nelle foto rubate a estranei e ritagliate per dar voce alla poesia visiva di Mad Vicky, uno dei tanti pseudonimi di Bianca Casady; identità sessuale, nella sua denuncia delle condizioni difficili per gli omosessuali in Iran, che porta l’artista a vestire con lo hijab delle figure maschili; identità storica, che s’interroga sull’eredità del genere umano agli occhi di un ipotetico alieno che sbarchi su un pianeta dallo scenario post-atomico, a cui è dedicata una complessa installazione site specific in cui predominano nero e rosso, colori emblematici della magia; identità individuale, che ricorre nelle tante rappresentazioni di gemelli siamesi, essere inscindibili, destinati a condividere l’esistenza ma non i pensieri.
Simboli diversi popolano le visioni di Coco, da quelli dei nativi americani, di cui porta l’eredità nei suoi geni – come le pannocchie – a quelli fortemente connotati politicamente e religiosamente: stelle di David e svastiche, che nella decontestualizzazione recuperano il loro valore originario. Colori lisergici sfidano l’occhio dello spettatore; glitter e dorature che rimandano a una dimensione magica, come le candele del piccolo altarino su cui compare anche una mano da strega, verde e di gomma, giocattolo e simulacro di un potere sovrumano.
L’universo di Bianca Casady lo si può comprendere solo immergendovisi completamente. Consci che, anche dopo aver lasciato la galleria, l’esperienza continuerà a vivere nella mente e a evocare pensieri latenti, che non affiorano nell’immediato della visita. Come un acido senza ritorno.