Trent’anni di mostre alla galleria Fonte d’Abisso. Dapprima, dal 1978 al 1989, a Modena nella via omonima, e dal 1989 a Milano, nel cuore nascosto di Brera. È certo un anniversario da celebrare quello di una galleria precocemente specializzatasi nel Futurismo (ma non solo), che ospita mostre rigorose, indaga le diramazioni del movimento e le sue intersezioni con le altre avanguardie e le altre arti, edita cataloghi dotati di scientificità e si è avvalsa, negli anni, di critici come Bossaglia, Bonito Oliva, Meneguzzo, Caramel, Restany e Lista.
E, ancor più da celebrare, è il fatto che la scelta di occuparsi dell’unica avanguardia italiana di duraturo successo nel mondo (oltre all’Arte povera) sia avvenuta trent’anni fa, quando ancora il Futurismo non era riabilitato né rivalutato sul piano commerciale.
Tanta acqua è passata sotto i nostri ponti, se oggi il legame tra Futuristi e fascismo è relegato nell’alveo della storia e le quotazioni nelle aste estere non hanno smesso di salire. A riabilitazione avvenuta, siamo ora in un periodo di riappropriazione del Futurismo: critici, mercanti e musei cercano di delimitare il proprio territorio d’influenza su Balla,
Boccioni e soci; nascono riletture critiche che si propongono come definitive e debordano anche in quanto a mole, come l’immane saggio di Giovanni Lista sul catalogo della recente mostra di Balla a Palazzo Reale di Milano e lo stizzito pamphlet di Giorgio de Marchis per Electa (
Futurismo da ripensare).
Su questa scia, la mostra del trentennale di Fonte d’Abisso ha il merito di mostrare non la giustapposizione della pratica scultorea con quella pittorica in
Giacomo Balla (Torino, 1871 – Roma, 1958), ma come le due tendenze siano compenetrate: nell’una si può osservare in controluce l’altra. Sin dalle prove pre-futuriste, dove è la luce ad arrecare plasticità: in mostra,
Luci all’alba a Roma (1902) e due
Ritratto di Elisa (1903 e 1905). Col manifesto per la
Ricostruzione futurista dell’universo, firmato da Balla nel 1915 con
Depero, la plasticità diventa volontà di possesso del mondo, trasformazione di esso nelle sue tre dimensioni e oltre. Ecco i
Vortici e le
Linee di velocità e le stupende
Forze di paesaggio. Sfilano poi i
Fiori futuristi, che varrà la pena considerare non più solo come curiosità; la storica scultura
Il pugno di Boccioni, in una fusione del 1956; e una piccola, curiosa tempera del 1925 (
Motivo con la parola “non dirlo”).
Ma la sorpresa della mostra sono le sculture in filo metallico (
Linee di velocità e
Vortici, 1913-14, fusione 1968;
Bal tik-tak, 1921-22, fusione 1968), arabeschi di linee che si ergono sul piedistallo e che esemplificano alla perfezione la commistione fra scultura e pittura: il disegno, la linea incontrano la tridimensionalità e si fanno monumenti di se stessi. E icone dell’universo ricostruito, che prende vita e danza sulle ceneri del passato.