Il 23 maggio del 1990, moriva a Venezia Giuseppe Santomaso. Cinque anni dopo, in occasione di una retrospettiva alla Galleria Aras di Saulgau, l’amico Piero Dorazio scriveva: “Ti ho telefonato l’ultima volta e mi hai detto che stavi incominciando a lavorare, a dipingere un nuovo quadro (…) che poi ho visto con la mia immaginazione, quando (…) mi hanno detto che non c’eri più. Era dipinto con quelle luci che vengono dal mare, colte nel momento in cui esse sfiorano il cielo e poi una nuvola, in fondo all’orizzonte. Toni piatti e poi sfumati, colori tenui e timbri durissimi, creavano spazi infinitamente lontani eppure immediatamente vicini, al secondo sguardo.
Colori e luci che tu avevi ereditato dai grandi maestri veneziani, da Tintoretto e da Tiepolo e quei toni di grigio che distinguevano Guardi e Canaletto e anche improvvise fratture luminose come quelle che riusciva a ottenere con tanta spontaneità quel folle di Turner”.
In questo lungo e toccante exerto è riassunta l’intera poetica del Maestro veneziano, di cui è in corso, presso la Galleria Blu, una qualificata mostra antologica, tesa a ripercorrerne la vicenda creativa dal 1954 al 1989.
La rassegna principia con “Il muro del pescatore” (1954) – un olio di medie dimensioni, presentato alla XXVII Biennale Internazionale d’Arte di Venezia – di cui Lionello Venturi, fondatore del Gruppo degli “Otto pittori italiani”, sottolinea la bellezza “per il rapporto tra il motivo bruno e grigio ed il fondo celeste”, “per l’energia della realtà vicina e scura e la lontananza fantastica dell’azzurro”.
In mostra vi sono anche altre tele degli anni Cinquanta, utili per ricostruire l’iter artistico di Giuseppe Santomaso. Si tratta di “Tramonto sulla città industriale” (1955) e “Palude giallo verde” (1958), un olio dalle tonalità autunnali, di proprietà di una grande collezione di Denver. Il decennio successivo è, invece, rappresentato da “Variazione n. 1” (1962), “Suite friulana n. 2” (1963) e “Omaggio al crocifisso di Cimabue” (1967), un lavoro che preannuncia gli sviluppi futuri dell’arte del Maestro. La struttura coloristico-formale dell’opera, priva di elementi pleonastici e casuali, perviene, infatti, ad un lirismo evocativo, da cui fuoriesce la personalità dell’artista, “impastata di sensi e ragione” e in cui ognuno di noi può trovare le proprie certezze. Lo stesso Giuseppe Santomaso, a tal proposito, affermò: “quando ho realizzato questa tela ho espresso il mio bisogno di essenzialità (…) lottando contro la mia serenità veneziana (…) perché ho trovato ed approfondito elementi formali che mi hanno rilevato dei sedimenti del mio inconscio”.
Il rigore poetico, cui l’artista fa cenno, trova, con la vivida tessitura cromatica e l’abile maestria nel rappresentare la luce, la sua sublimazione nelle tele più significative degli ultimi anni: “Lettere a Palladio n. 7” (1977), “Contrappunto” (1984), “Quasi gotico” (1986) e “Oltre il concetto” (1988).
Le ampie campiture di colore spezzate da fasce rosse, blu, nere, grigie, bianche e turchine che popolano questi quadri, e tutta la produzione antecedente, rievocano alla mente non solo la grande tradizione della pittura veneta, ma anche l’affinità elettiva con i grandi distruttori e costruttori del Novecento: Braque, Cézanne, Matisse, Kandinsky, Mirò. Artisti che, come lo stesso Giuseppe Santomaso, consideravano l’arte “vitalità dell’imaginario che irrora la linfa dell’essere”, “essenza dell’uomo capace di rispondere alle necessità del profondo”.
Per concludere, si segnala che a commento della rassegna la Galleria Blu ha realizzato un catalogo con documenti storici, in buona parte inediti, tavole a colori di tutte le opere esposte e note biografiche a cura di Loretta Daminato, interlocutrice privilegiata del Maestro.
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SONO COMPLETAMENTE DACCORDO A META'CON TE ORCO
e di ottocentesca memoria non mi rimane che un aggettivo da proferir: sublime.
l'articolo è scritto con garbo. Eleganza delle parole...complimenti