Giugno 1925, Städtische Kunsthalle di Mannheim. Si apre la mostra di pittura tedesca intitolata
Neue Sachlichkeit. Il curatore Hartlaub pronuncerà parole significative in merito, appellandosi a quel “balzo” “
che riesce al singolo in ragione del suo talento e del suo carattere”, e prosegue: “
Quanto più in alto uno salta, tanto più sicuramente si è svincolato da legami di luogo e di tempo per attingere il dominio di valori più liberi ed eterni”.
L’anomala affinità che si delinea fra l’arte della Nuova Oggettività e il lavoro dell’artista tedesco
Günter Umberg (Bonn, 1942) riguarderebbe l’interesse per
das Sache, la cosa. Tuttavia, se per i primi il delirio oggettivo si rivolge al soggetto rappresentato, e dunque sfocia in un’arte figurativa, fedele alle forme del reale, la
Sachlichkeit di Umberg sarebbe invece connessa al supporto fisico della pittura, al quadro nella sua tangibilità. La pittura di Umberg non trova ragion d’essere fuori dalla “cosalità”, dal processo che gli è consustanziale, dalla morfologia che gli è propria: vediamo così il bordo laterale delle opere costituirsi di una base di legno di un certo spessore -rendendo il quadro aggettante rispetto alla parete-, percepiamo l’origine organica dei materiali carbonizzati, la loro parentela con i fossili e la continua metamorfosi dell’opera in relazione ai differenti riflessi luminosi, alla diversa saturazione della superficie pigmentata,
unitamente al variare della collocazione e della sensibilità percettiva del fruitore.
Precedenti illustri nell’arte del monocromo si rintracciano in
Kazimir Malevich,
Ad Reinhardt,
Yves Klein, ma Umberg si allontana da queste fonti autorevoli. La specificità dei suoi monocromi -preferibilmente calibrati sulle cromìe nere, con rare concessioni al verde e all’arancio- dimora nella corporeità, nelle superfici che racchiudono infiniti altri colori, nella materia di cui si caricano i quadri, centri propulsori di energia che si propaga negli spazi che li accolgono. L’artista non esita a modificare l’aspetto delle sale espositive, facendo costruire muri aggiuntivi o sale minori, ricopre porzioni di pareti con superfici di legno chiaro che interagiscono con le forme e i colori dei quadri intorno. Un dialogo continuo s’instaura tra le opere e l’ambiente, come pure fra le opere e l’osservatore, il quale, dichiara Giorgio Verzotti, “
solo a confronto diretto con l’opera può verificarne lo spessore e intenderlo come l’altro-da-sé che apre a un confronto tra simili”.
Le opere di Umberg, nonostante l’insistita autoreferenzialità, vivono di un senso fisico che, tuttavia, risuona di valenze metaforiche. Si svincolano dall’
hic et nunc per “
attingere il dominio di valori più liberi ed eterni”.