In principio era lo spazio. Vuoto. Profonda libertà e profonda solitudine. La saga -anche e soprattutto esistenziale- dell’urbanizzazione segna il nostro modo di abitare le cose e di prendere possesso degli ambienti. E consegna l’uomo a una condizione di precarietà e all’illusione della stabilità e della soddisfazione. La città contemporanea: metafora pedante di una condizione generale.
Velasco Vitali (Bellano, 1960) s’innesta nell’
epos urbano dell’occupazione dei vuoti. L’
urbs pittorica sta insieme per accumulazione, è uno spazio intensivo, compresso nei suoi limiti; al contrario, la materia riprodotta, creata da una luce livida e corpuscolare, sfugge alla presa, simulando veloci metamorfosi ed estemporanee trasfigurazioni topografiche.
La
texture urbana di Velasco rivela una congestione di pieni e vuoti, quasi fosse un luogo di incubazione, un rigoglio travagliato. O meglio, un nulla pieno, sfondato. Il monumento a Pertini di
Aldo Rossi in piazza della Croce Rossa, nel decennale della sua creazione, diventa il polo architettonico, il perno per l’esplorazione dell’entourage urbano. Con un’impietosa prospettiva dall’alto, disincarnata, Vitali segue il miraggio di sguardo assoluto che osserva e giudica senza vincoli. L’aggressività del gesto pittorico schiaccia la città in una metafora e inaugura lo scarto necessario all’interpretazione.
Le architetture di Vitali, fatte di stratificazioni materiche e scavate da un approccio carnivoro, sembrano soggetti pittorici in essenza. Il segno magmatico e fangoso si nutre di tinte stagnanti e di una gravosità industriale che si mescola a colori iridescenti, assecondando l’emersione “in purezza” di forme lineari.
Velasco insiste su una pittura informale, olio pastoso, steso come fosse asfalto e cemento: in un diffuso alone violaceo, le trasfigurazioni in verde petrolio e bianco sporco non resistono a un grigio pervasivo. Una luce residuale svela un paesaggio nella sua rovina presente e progressiva. Mentre un vuoto sibilante lavora febbrilmente in direzione dell’assenza.
Nel delirio urbano, Velasco pone il randagio a presidio della terra. Il lavoro sulle bande di cani palermitani -in rete metallica, cemento e catrame o frammenti metallici ricomposti, cuciti- riflette su un’etica dell’accoglienza e della coabitazione. La città -rifugio è uno spazio mobile, colmo di presenze abusive. E i randagi diventano l’emblema di uno stato universale delle cose, dell’esistenza parassitaria, di un modo di abitare i luoghi fuggendoli, contando sull’illegalità , sulla non-autorizzazione e su una visibilità fantasmatica. Sigillati dalla pesantezza delle incrostazioni pittoriche e dalla reiterazione dei soggetti, i remixaggi del soggetto urbano si materializzano quindi in suggestioni installative e spaziali.
L’opera di Vitali s’immerge nel mentale, consapevole della fragilità e dell’anacronismo del suo linguaggio. La reazione alla contemporaneità urbana è l’insistenza su un olio narrativo, che rinuncia all’ingombro figurativo. Preferendo l’analisi dello spazio, le forme collettive e l’organizzazione modulare dell’ambiente.