La scena artistica di Milano non conosce soste, neppure quando è festa. Nonostante la coincidenza con il 25 aprile e il Primo Maggio, infatti, il pubblico è accorso talmente numeroso all’inaugurazione della personale di
John Bock (Gribborn, 1965) che la performance dell’artista tedesco, inizialmente prevista lungo una serie di cunicoli realizzati all’interno della galleria, si è dovuta tenere all’aperto.
Lo spazio espositivo è stato usato a sua volta come un palcoscenico, dove Bock ha riversato il suo personalissimo micro-mondo straniante, dal carattere eclettico e visionario e dagli effetti spiazzanti. La sua ricerca è il risultato dell’unione di stimoli provenienti da fonti diverse: da Fluxus all’Azionismo Viennese, dalle performance di
Yves Klein al minimalismo di
Donald Judd, riproposti in un insieme di contaminazioni da cui scaturisce l’originalità del suo universo immaginario. Il mondo collegato e al tempo stesso dissociato dell’artista, personalità poliedrica definita a metà tra lo scienziato pazzo e
Buster Keaton, ricorda quindi un certo “
Romanticismo contemporaneo, ancora venato di un gradevole e a volte ingenuo sapore adolescenziale”.
Al cuore pulsante della mostra si arriva attraverso un tunnel di legno illuminato da luci rosse, quasi rappresentasse le vene di un corpo umano, che si dirama in più direzioni aprendosi su vani che ospitano una serie di disegni e sculture e su una sala, allestita come un piccolo cinema privato, dove si può assistere alla proiezione del film
Palms. Gli oggetti usati nella “lecture”, tra cui la stoffa bianca su cui l’artista ha disegnato i modelli da lui creati per una nuova società, sono visibili in una parte di questo labirinto, cui si accede tramite una pesante porta girevole da caveau. Un’entrata che dà immediatamente la sensazione di varcare la soglia di un mondo “altro”, costruito attraverso la giustapposizione dei materiali più vari, accumulati con meticolosità e apparente disordine.
Nell’altro settore della galleria, invece, si apre una porta che introduce a una stanza in cui sono proiettati otto video di Bock, cui sono stati associati alcuni pezzi usati durante le riprese delle performance. L’artista, infatti, costruisce strutture fatte di materiali precari e utilizza oggetti dalle forme improbabili per creare universi, di cui egli stesso è protagonista, che alludono ai temi e alle ossessioni del nostro tempo. Gli oggetti di uso quotidiano, snaturati dal loro contesto originario, acquisiscono così un nuovo significato e sottolineano lo stato precario dell’esistenza contemporanea. Bock, inoltre, utilizza i muri, alcuni pezzi di stoffa che pendono dal soffitto, un patchwork di camicie sospese nel centro della sala e un bancone rivestito di piastrelle come supporto per le immagini che, montate secondo sequenze sceniche sempre più complesse rispetto a quelle degli esordi, invadono lo spazio in ogni direzione sovrapponendo voci, suoni e rumori.
Un concerto in cui la vista e l’udito vengono coinvolti in una girandola di stimoli che impediscono una percezione ordinata di tutto il materiale disposto, come se ci si trovasse all’interno di un caleidoscopio.