Domenico Gnoli in Wonderland.
Vladimir Radunsky (Urali russi, 1954; vive a New York e Roma) si concentra sui particolari. Li esalta. Li sottopone alla lente d’ingrandimento, fino a renderli fuori misura. Come per il nostro cavallo di razza romano, fa dell’accessoristica legata all’abbigliamento il suo soggetto.
Un paragone felice? Eppure finisce qui. Non si può evitare di pensare a Gnoli, davanti alle opere di Radunsky, pertanto è d’uopo pronunciarsi in questo senso, anche memori di un comune e inevitabile retaggio culturale e ideologico tra un artista moscovita di nascita e un collega capitolino, che ha operato in Italia tra gli anni ’60 e ’70, in un momento in cui la Madre Russia giocava un forte ascendente sulle intellighentsie nostrane.
Tuttavia, la serietà certosina di Gnoli, il suo fare metodico e austero, la compostezza dell’intellettuale, più da studio che da salotto, hanno poco a che vedere con la
joie de vivre che traspare dalle opere di Radunsky, che non dipinge gli oggetti, intanto, ma li costruisce e li pone direttamente sotto teca. I colori sono lievi ed evocativi, i materiali preziosi e seducenti. Il suo target non è una borghesia medio-alta desiderosa di un compiacimento che ha a che fare con la testa e di una consacrazione ulteriore delle icone del suo quotidiano, quanto i bambini, il mondo delle favole e quello degli adulti che vanno a spasso senza dimenticare gli anni d’oro.
Ecco che questi oggetti sotto vetro diventano, grazie alle loro insolite dimensioni, abiti quasi clowneschi e si ricollocano immediatamente nell’universo di appartenenza. Vladimir Radunsky non ha, infatti, dimenticato la lezione e la passione di una vita. Illustratore di libri per l’infanzia, con alle spalle oltre trenta
picture book, recupera nel suo lavoro la categoria degli animali antropomorfi e li rende protagonisti assenti.
Simulacri della loro esistenza, quasi testimonianze di un mondo che ci ha accompagnati per mano e che poi abbiamo dimenticato, relegandolo nello schedario dell’impossibile, restano le cravatte macroscopiche, le ciabatte con le iniziali, i costumi da bagno che, con inevitabili esigenze anatomiche “animalesche”, diventano
traccia concreta del mondo delle favole e principio per delineare un identikit.
Così il Gatto con gli Stivali, il Bianconiglio e Babar emergono dalle nubi del ricordo con le proprie caratteristiche fisionomiche e i propri identificativi. L’artista, come insegna Meyer Shapiro, ha il compito di colmare i vuoti della narrazione con il proprio intervento e di raccordare i particolari descrittivi e quelli che la prosa ha omesso, con il valore aggiunto del proprio messaggio. Ma non solo. La storia dell’arte contemporanea ha dato dignità a ciò che prima appariva ininfluente e che oggi sembra invece essere carico di senso.
Attraverso le opere di Radunsky si oltrepassa lo specchio di Alice e ci si ritrova tra le pieghe di un mondo con orologi parlanti e conigli con cappelli a cilindro. L’artista, nostra guida, ci rassicura: esiste davvero.