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Il neoimpressionista non fa piccoli punti ma divide i toni”, scriveva Signac. “
Il punto non è che un mezzo”. Quindi, per favore, non chiamateli “puntinisti”. “Neoimpressionisti” è il termine più diffuso per indicare gli artisti che si raccolsero intorno a
Georges Seurat (Parigi, 1859-1891) e
Paul Signac (Parigi, 1863-1935).
I due s’incontrarono nel 1884, avevano personalità e formazione diverse: scontroso e taciturno il primo, che aveva studiato all’Accademia di Belle Arti; estroverso e praticamente autodidatta Signac. Entrambi “
volevano dipingere il mondo moderno ed erano alla ricerca di un linguaggio nuovo”, scrive la curatrice Martina Ferretti Bocquillon. Seurat, con spirito positivista, rincorreva il sogno di un’arte-scienza, fondata su leggi certe. Signac era affascinato dalla luminosità delle opere impressioniste ma cercava, al di là dell’effetto atmosferico vibrante ed effimero, di costruire lo spazio con esattezza.
La differenza di temperamento è ben visibile nelle prime opere esposte in mostra, che documentano l’attività dei due artisti prima del loro incontro. Semplificazione geometrica e tavolozza brumosa per Seurat (
Periferia e
Contadine al lavoro), mentre
Port-en-Bessin: il mercato del pesce di Signac presenta pennellate brillanti e rigorose linee ortogonali.
La storia è nota: nelle teorie della percezione dei colori di Chevreul e Rood (illustrate in una originale sezione della mostra) trovarono i principi scientifici sui quali rifondare l’arte. Vietato mescolare i colori sulla tavolozza: per riprodurre con verità ottica la luminosità delle tinte era necessario frazionare i toni in minuscoli punti di colore puro, lasciando che questi si fondessero nella retina di chi guarda. I colori dovevano essere disposti sulla tela tenendo conto del contrasto di tinte e toni. Dal 1886 un pulviscolo di punti colorati dà sostanza all’immagine. Straordinarie le numerose marine presenti in mostra, che associano cromie raffinate a sofisticati giochi di linee (di Seurat
Il canale di Gravelines: di sera, di Signac
Concarneau: calma della sera).
L’esposizione presenta un’ampia selezione di opere degli artisti che aderirono ai principi del neoimpressionismo. Non tutte della stessa qualità, ma utili a verificare come l’applicazione di leggi rigorose e di un metodo scientifico non sia di per sé arte (tra gli artisti più interessanti,
Théo van Rysselberghe,
Albert Dubois-Pillet,
Maximilien Luce). I temi sono quelli della “modernità”: paesaggi e marine, le vie delle città, caffé e spettacoli teatrali, qualche ritratto. Nuovi i tentativi di riprodurre la luce delle lampade a gas, che illuminavano di notte le città (
L’incidente di
Charles Angrand).
Dopo la prematura scomparsa di Seurat, fu Signac a tenere le fila del movimento. Non abbandonò il principio del colore diviso, ma gradualmente la pennellata si fece più ampia, i punti divennero spesse virgole di colore, quasi tessere di mosaico; i toni si accesero di arancio, rosso, viola. Tra le opere più belle in mostra,
Vele e pini, capace di evocare lo scintillio dell’acqua, il baluginare del sole tra le fronde degli alberi. I toni accesi preannunciano la pittura dei fauves.
Solo una nota di disappunto per una mostra, peraltro, assai meritevole: si resta con l’impressione che neoimpressionismo equivalga a colore diviso; in questo, ci sembra, consiste il leit-motiv dell’esposizione. Ma nella pittura di Seurat c’era qualcosa di più: una ricerca dell’assoluto nell’astrazione silente dei dipinti, la volontà di scoprire le leggi che governano l’armonia che non viene quasi accennata. Peccato.