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fino al 25.II.2011 | Bart Domburg | Milano, Curti/Gambuzzi & Co.

di - 14 Febbraio 2011
Bart Domburg (Zwolle, 1957;
vive ad Amsterdam) torna, dopo le personali del 2000 e del 2003, a esporre da
Paolo Curti e Annamaria Gambuzzi, mostrando un lavoro apparentemente diverso
dai landscape di Everywhere, ma
affine a livello di contenuto.

Mantiene il suo
stile neutro e sobrio per dipingere non più paesaggi naturali, ma facciate di
edifici costellate di finestre. Anche il procedimento non muta: la storia
dietro la scelta del soggetto rimane celata dall’iperrealismo e dal purismo,
l’interpretazione è lasciata all’immaginazione di chi osserva, il cui sguardo
Domburg vuole evitare di indirizzare. L’intuizione per il nuovo soggetto nasce
nel 2004; l’artista vive ormai da quattro anni in uno dei distretti della
vecchia Berlino Est. Esplorando le zone circostanti, si imbatte in un paesino
al confine con la Polonia e la sua attenzione viene rapita da due finestre, che
decide di fotografare.

Da qui lo
spunto per una riflessione che lo porta al ricordo di Las Meniñas di Velázquez, allo specchio che
permette di vedere ciò che si trova alle spalle del pittore e quindi anche
dietro di noi. Domburg trova, antiplatonicamente, che in tal modo la realtà
entri letteralmente nella pittura; non trasfigurata, perché ombra di un’ombra,
ma effettivamente vera. Così le grandi
tele di lino, riempite di colori neutri, come il grigio o il beige, si
trasformano in facciate di edifici visti a Berlino, punteggiate di finestre.
Domburg parte dal dato materiale ma, attraverso il realismo e la disposizione
ritmica e regolare delle finestre, esso perde di importanza: Senza titolo è infatti la didascalia di
ognuno di questi lavori.


L’artista
compie un vero j’accuse nei confronti
dell’era moderna, puntando perentoriamente il dito contro il socialismo di
allora e contro il capitalismo di oggi. Il riflesso nei vetri – che gioca un
ruolo fondamentale nella funzione di confine svolta dalle facciate, mostrando
non solo il rapporto di ognuno con se stesso, ma anche di ciascuno con la
società – non lascia scorgere figure e restituisce il nulla circostante. Si
prova un’inevitabile sensazione di straniamento. L’uomo, completamente assente
dalla figurazione, traspare nel significato: homme blasé costretto in uno spazio alienante deciso per lui da
qualcun altro, abita questi non-luoghi progettati in funzione dell’utile, nella Germania socialista per ospitare gli
operai delle fabbriche, oggi per essere sede del commercio e dell’industria.


Questa
architettura ripetitiva, priva di colore, essenziale e impenetrabile, finisce
per annullare l’individuo. Tre in particolare sono i quadri che richiamano gli
edifici del capitalismo, le grandi tele in cui la facciata risulta
completamente costituita di vetrate: astrattismo e astrazione sono
preponderanti e di conseguenza anche il senso di straniamento. Come Domburg
spiega, con il capitalismo è l’architettura stessa a essere diventata façade. Così forse anche la vita.

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La
personale da Curti/Gambuzzi nel 2003

Pittura
a Villa Manin

Transizioni
alla Collezione Maramotti

valentina mariani

mostra visitata il 4 febbraio 2011


dal 14 dicembre 2010 al 25 febbraio 2011

Bart Domburg – Senza titolo

Galleria Paolo Curti / Annamaria
Gambuzzi & Co.

Via Pontaccio, 19 (zona Brera) – 20121 Milano

Orario: da lunedì a venerdì ore 11-19; sabato su appuntamento

Ingresso libero

Info: tel. +39 0286998170; fax +39 0272094052; info@paolocurti.com; www.paolocurti.com

[exibart]

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