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Nel febbraio 1977 la mostra “La forma della scrittura” presentava alla GAM di Bologna oltre cento esperienze internazionali di poesia visiva e concettuale, proponendo accanto ad artisti italiani – tra cui Gianfranco Baruchello, Irma Blank, Emilio Isgrò, Ketty la Rocca – autori statunitensi, sudamericani ed europei come Richard Kostelanez, Clemente Padín, Jan Hamilton Finlay, Dieter Roth, selezionati da Adriano Spatola. Una piccola compagine rappresentava anche la produzione del Blocco Sovietico, con opere dalla Polonia, Jugoslavia, Cecoslovacchia. La presenza della poesia visiva nei paesi dell’Est è in buona parte ancora da riscoprire: censurati, perseguitati, costretti a fuggire, gli artisti che non si omologavano al regime trovarono in quella fusione di linguaggio iconico e letterale – fatta di pagine dattiloscritte, disegni e collage, taccuini, ciclostilati, cartoline, pagine di giornale – il luogo discreto dove far circolare il loro pensiero e tentare di riattivare l’attenzione critica dei fruitori, soggiogata dal flusso di informazioni quotidianamente imposte. Proprio come facevano i loro colleghi oltre cortina, che invece del pensiero unico prendevano di mira la società dei consumi.
Nella mostra alla galleria Laura Bulian il curatore Marco Scotini presenta opere grafiche e documenti rari di quattro artisti oggi noti nella scena internazionale, restituendo un nuovo spaccato sulla storia della poesia visiva ad Est, dagli anni ’70 ad oggi. Nei collage di Vyacheslav Akhunov la tradizione Sufi del Centro Asia riemerge negli slogan di regime trasfigurati in mantra, ripetuti incessantemente dallo scorrere della penna sul foglio a incorniciare immagini di monumenti ufficiali che affondano simbolicamente nella sabbia del deserto Uzbeko. Di Vlado Martek – accanto alla documentazione delle sue azioni poetiche nello spazio pubblico – sono esposti alcuni samizdat, opuscoli non ufficiali stampati in proprio, grazie a cui venivano fatti circolare anche in Cecoslovacchia testi ostili alle autorità o già censurati, e utilizzati anche dagli artisti per diffondere i loro lavori. La Pravda, l’organo ufficiale del PCUS, è invece il medium su cui operava con fitti intrecci di segni a biro Dmitrij Prigov, che insiste sulla carta fino a rivelare in negativo nomi di dissidenti politici, esponenti progressisti del governo, o dei padri fondatori della letteratura russa. Babi Badalov ha dovuto forzatamente abbandonare l’Azerbaigian e da alcuni anni ha trovato asilo politico in Francia: il suo percorso di vita è racchiuso in un diario in forma di collage in fogli sparsi, che richiamano alla mente l’estetica delle fanzine punk e underground, in cui prende vita una commistione postmoderna di culture, geografie, religioni, orientamenti politici e sessuali. Un percorso che si snoda attraverso temi e immaginari di confine, dove spesso ancor oggi alla libertà di espressione non è concesso avventurarsi, e non solo all’Est.
Silvia Simoncelli
mostra visitata il 4 marzo
Dal 19 novembre 2015 al 25 marzo 2016
La quarta prosa – The fourth prose
Laura Bulian Gallery
via Piranesi 10 Milano
Orari: dal lunedì al venerdì, 15.00 -19.00 – Mattine e sabato su appuntamento