Al Castello Sforzesco artificio e artefice usano il vuoto
come elemento di regia, intuizione plastica di assenza sfrontata. L’altisonante
“personale” dal titolo
Rivoluzione Kenoclastica di
Christian Zucconi (Piacenza, 1978) irrompe nelle
sale ombrose, adibite anticamente ad armerie e scuderie. L’allestimento propone
una kermesse ridondante e vanitosa, promossa dagli enti patrocinatori come una
rassegna avanguardista di presupposta nuova scultura.
Espedienti plastici e luci allestitive d’effetto conformano
il vuoto a immagine e somiglianza dell’uomo, facendogli fare ritorno (tanto per
non usufruire di eccessiva autonomia) alle pose/gesta mitiche delle origini
classiche. I lavori lirici sono drammi senza veritĂ , manifatture nelle quali
attori in stasi mostrano superfici subbiate e bugnate del travertino persiano.
Il percorso risulta animato da una sorta di
Via dolorosa, a tratti cattolica a tratti
laica, ma sempre animata da toni alti-loquenti.
Il sentiero si dipana attorno a quattordici sculture di grandi
dimensioni che spezzano il ritmo dei silenziosi saloni medievali, facendoli
sembrare possenti meraviglie fuori luogo. T
ra un incomprensibile Edipo e un
violento Tietse, tra un difficile Tiresia e una iconografica Crocifissione, il
senso del corpo rimane svuotato del sé, per diventare contenitore volumetrico
eccessivamente allegorico. Manichini teatranti incastonati nella pietra.
Nessuno sguardo intrasoggettivo, nessuna trasformazione, nessuna
trasfigurazione: il marchio ridotto del pathos imprime mere rappresentazioni
anatomiche, luoghi fisici dello svuotamento.
Purtroppo, infatti, il linguaggio materico dei lavori di
Zucconi, data la scelta di esporre nelle sale del museo di Castello Sforzesco,
necessita di un imperativo confronto diretto con la michelangiolesca
PietĂ
Rondanini. Opera
che, posta a contatto diretto con
Rivoluzione Kenoclastica, ne annulla qualsiasi buona
intuizione o portata formal-semantica.
Benjamin, ne
L’origine del
dramma barocco tedesco (1928), descrive
forme e figure del dramma barocco come impossibile tentativo di ripetere
storicamente la tragedia greca. Benjamin presenta l’allegoria barocca come
critica dell’aspirazione classicista a riunificare la scissione originaria
prodottasi nell’uomo ed espressa sia nella simbologia tecnologica (il creatore
e la creatura, la caduta e la redenzione), sia in alcune coppie antinomiche
della tradizione occidentale (il finito e l’infinito, il sensibile e il
sovrasensibile).
L’opera benjaminiana fornisce una chiave
preziosa per interpretare anche alcune fondamentali aporie dell’arte e della
coscienza moderna: Benjamin mostra con dovizia come la tensione a raggiungere
il
simbolo nell’esperienza artistica (e quindi l’unificazione effettiva di
cosa, linguaggio e significato) esploda continuamente in
allegoria, ovvero in una
dialettica eccentrica (priva di centro) tra quanto è figurato nell’espressione,
le intenzioni soggettive che lo hanno prodotto e i suoi autonomi significati.
Consigliamo a Christian Zucconi la lettura
delle pagine di questo volume a proposito del “
sentimento melanconico”
nascosto nell’eccessivo trionfo
dell’allegoria.
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Una mostra che fa solo pietĂ ! La sfacciatagine di Zucconi non ha limiti. Chiedo scusa a Michelangelo per l'accostamento.
a me pare che la presunzione sia tutta in chi ha scritto questo articolo. per conto mio il paragone con michelangelo sta tutto nel trattamento del materiale, che mantiene la promessa di rivoluzione del titolo, permettendo soluzioni interessanti.
le opere possono non piacere, a me personalmente è piaciuta davvero solo salomè e per certi versi tieste, ma la soluzione tecnica è interessante (le 2 opere sospese con cavi fanno effetto) e per me la mostra vale la pena di essere visitata.
Mi sembra una recensione un po' troppo tecnica, difficile da capire iper-critica che sfiora il paradosso, tenendo conto poi che l'artista in questione è molto giovane e con poca di esperienza.
Sembra fatta da un tecnico che ostenta il suo sapere nella classica giornata no!
L'artista sarà pure giovane, ma il curatore della mostra è un certo Rudy Chiappini che non è proprio l'ultimo arrivato. La sua critica mi
sembra più autorevole di quella di Ginevra Bria. Mi piacerebbe poi sapere cosa c'è di incomprensibile nell'Edipo (per chi ha letto
l'Edipo Re ovviamente).
Rettifica:
1
allestimento luci
in
l'uso di luci/ombre
2
14 opere di grandi dimensioni
in 6 opere di grandi dimensioni (refuso da comunicato
stampa, tuttora diffuso)
rettifica all'articolo
in due punti:
1
allestimento luci
in
l'uso di luci/ombre
2
14 opere di grandi dimensioni
in 6 opere di grandi dimensioni (refuso da comunicato
stampa, tuttora diffuso)
Rudy Chiappini, deve organizzare mostre di artisti che si sostengono da soli vedi Bacon a palazzo Reale. Di arte contemporanea Chiappini non capisce nulla!!