La mostra intende proseguire il cammino intrapreso due anni fa all’interno del progetto quadriennale “Specchio d’Europa” promosso dalla Provincia di Milano.
Dopo “L’età dei Visconti e degli Sforza” di due anni fa e “Grandezze e Splendori di Lombardia spagnola”, il periodo affrontato in questo nuovo capitolo riguarda il periodo di storia milanese compreso tra l’ingresso a Milano del Principe Eugenio di Savoia, nel Settembre 1706, fino alla fine della dominazione austriaca nel 1848.
Per Milano, quello trattato nella mostra, è un momento denso di avvenimenti sia sul piano politico-istituzionale che su quello socio-culturale. La città si trasforma e con essa le attività e le relazioni al suo interno. In tale contesto si collocano alcuni dei protagonisti, come Parini, Verri, Beccaria, Stendhal, Manzoni, che hanno contribuito con le loro idee a fare di Milano appunto un “laboratorio della modernità”.
Il percorso espositivo non ha la pretesa di essere né un esaustivo approfondimento storico né una mostra d’arte. E’ una mostra fatta di “suggestioni” che raggiunge lo spettatore più col linguaggio dell’emotività e della sorpresa che non quello, peraltro presente, dell’oggetto d’arte o della fonte storica.
E così il pubblico si trova a muoversi all’interno di un percorso che inizia con un inquadramento storico riguardante le tre fasi corrispondenti al primo dominio austriaco, al ventennio francese e alla restaurazione e che continua attraverso diverse aree tematiche: “Gli eventi e i protagonisti”, “La campagna”, “il volto della città”, “I luoghi dello scambio e della produzione”, “I luoghi dell’assistenza”, “I luoghi della cultura”, “I luoghi della socialità”, “La villeggiatura”.
Lungo l’itinerario previsto si incontrano oggetti, documenti, dipinti che attirano l’attenzione del visitatore. Si incontrano personaggi semi-noti, come
Si incontrano volti tanto anonimi quanto veri, come “La filatrice” ritratta da Giacomo Ceruti o “I vecchi del Pio Albergo Trivulzio”, ritratti in una litografia di Locarno.
Ci si stupisce di fronte alla Milano “d’allora” e si gioca ad individuare i tratti rimasti nelle Milano di oggi, come accade di fronte ad una sorprendente “Corsia dei servi” di Giuseppe Canella del 1834 o di fronte alla “Veduta dell’antica Porta Ticinese” ritratta nel 1850 da Pompeo Calvi. Ci si imbatte in oggetti appartenenti ad un mondo rurale che sembra non averci mai riguardati, come i disegni di aratri, trebbiatori, macchine per “sventolare il fieno”. Ci si stupisce, guardando le piante della città, di quanto sia cresciuta e ormai diversa Milano.
Insomma una mostra che incuriosisce, insegna e comunica, soprattutto al cuore dei milanesi, lasciando tante cose sottintese o inespresse, giustamente, perché gli oggetti, i disegni, i dipinti, i documenti, in fondo parlano da sé.
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