La tendenza dei giovani pittori è stranamente una questione di somiglianza. La sinuosità pronunciata e la voluttuosità delle pose dei soggetti rimanda con precisione a mondi ben noti, mondi perfettamente calcolati. Si parla di sesso, si parla di provocazione, di moda, di urla squillate, di film cult, ma si tralasciano i concetti espressivi. Il rigore dell’estrapolazione, il piacere dell’informale astratto, come si usa definirlo.
La morbida figuratività delle scene dipinte, poi, è un’altra scelta che accompagna parecchi nuovi esploit della Milano-delle-gallerie. Ci sono, è vero, le dovute eccezioni, ma, in questo caso, sono minuzie che non scardinano la regola. La pittura è diventata così un riflesso cangiante che specchia l’esistente. Senza anticiparlo più.
Marco Perego (Milano, 1979) è un calciatore che ha finito la propria carriera dietro un pallone nel 2004, a causa di un infortunio. Da quel momento in poi decide di cambiare la propria vita, modificando le sue attitudini. Così si trasferisce a New York. E in America scopre la vena creativa che lo ha sempre accompagnato. Poi dopo appena tre anni torna in Italia per presentare i lavori che ha prodotto e le osservazioni che ha carpito.
Le tele esposte alla sua prima personale milanese, nella galleria ProjectB, sono una decina, quasi tutte di sono di grande formato. I colori che utilizza sono sempre squillanti, prediligendo i contrasti vivi delle fluorescenze, messe in risalto da improvvisi sprazzi bui. I soggetti che Perego predilige, oggettivati dalla linea vellutata del pennello, sono scene e fantasmagorie dalle quali lo stesso pittore è rimasto catturato.
Vorticano, così, mistress sado-maso, uomini d’affari, soubrette da peepshow, attori di Hollywood, e, stranamente, a fine di un percorso ideale, un Cristo Morto mantegnano. Su una tela, quasi sempre tagliata dalle incursioni dei primi piani, vengono riunite più scenografie. Il montaggio pittorico quindi risulta veloce. Decodificando l’appartenenza alla rapidità del tempo, quell’anello che corre e che si rincorre, senza riscatto. Da notare, come una sorta di sigillo, le frasi che Perego lascia in obliquo, fissate quasi sempre al centro della tela. La sua raccolta di pensieri sembra fare parte di un diario. Come se fosse la pittura a dover ricordare gli insegnamenti. Quelle esperienze che fanno della violenza una lezione di presenza. Nonostante la rilettura acerba di un accenno scarno al collage, il punto forte di questo giovane artista rimane la potenzialità espressiva e la forza delle scelte cromatiche, ancora tutte da sviluppare. Di notevole impatto scenico sono infatti l’utilizzo di supporti come le frasi al neon e l’inserimento di mescole lucide, distribuite come macchie, all’interno dell’impasto pittorico. Da notare, da questo punto di vista, la curata scelta espositiva di queste ultime opere, separate dal resto della galleria, in una sorta di antro buio, esterno agli spazi istituzionali. Un modo questo, di raggruppare lo sguardo e sublimare, attraverso il buio, l’intento riproduttivo dell’insinuazione perversa.
ginevra bria
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