Se l’arte deve servire a qualcosa ed esser fedele alla contemporaneità, allora l’installazione site specific di
Lisi Raskin (Miami, 1974; vive a New York) negli spazi espositivi di Riccardo Crespi brilla come una serie di considerazioni attualissime. Il discorso recentemente tenuto da Barack Obama al Cairo sulla necessità di far fronte comune alle aspirazioni nucleari di Teheran si è accompagnato al riconoscimento del diritto della teocrazia iraniana di dotarsi di tecnologia nucleare per usi civili. Un passo indietro rispetto alla rincorsa atomica degli ayatollah.
Questo mentre la Corea del Nord tergiversa (ma minaccia) sui suoi preparativi missilistici e la Russia persiste nell’opposizione all’installazione americana di missili-antimissile nella Repubblica Ceca e in Polonia.
Un ulteriore raffreddamento della Guerra Fredda, destinato a evolversi nella ratifica di un accordo Start 3 fra potenze nucleari “amiche”.
Mobile Observation è il progetto condotto da Lisi Raskin sugli effetti faustiani di una distorta applicazione della tecnica, in riferimento alla custodia “preventiva” delle armi di distruzione di massa a opera di potenze nucleari,
in primis gli Usa.
Launch on Tactical Warning rappresenta l’ultimo passo di un lavoro cui si potrebbe applicare la definizione di
estetica del terrorismo, simulazione di uno scenario atomico sviluppato su diversi livelli di profondità attraverso una serie di mappe di paesaggi e sculture di missili e sottomarini atomici, in un bunker sotterraneo provvisto della strumentazione necessaria per effettuare i lanci.
Omettendo di attenuarne l’ambiguità circa l’individuazione dei “referenti” del terrorismo, la riflessione di Raskin muove dall’idea di un’interiorizzazione della Guerra Fredda e dall’individuazione nel potere politico della responsabilità di tale operazione: l’edificazione di una sovrastruttura eminentemente marxiana utile a “distrarre” la società civile, educandola. Il potere politico è un potere mistagogico, potenzialmente votato alla manipolazione. Ma Raskin si spinge forse un po’ troppo in là quando equipara il maccartismo americano alla reazione contro il terrorismo islamico dell’amministrazione Bush.
Se la definizione di estetica del terrorismo come cifra del progetto splende per la sua icasticità, nondimeno lascia inalterata una patina ambigua: qual è la pratica del terrorismo? Quella degli Usa, potenza nucleare che, diversamente dai mozzorecchi di Teheran, muove dai concetti di libertà e democrazia? O le velleità atomiche della teocrazia iraniana, che definisce gli ebrei “
maiali”, il cui Stato va eliminato dalle mappe geografiche? O l’oltranzismo antiatlantico degli attentatori suicidi, protesi ad armarsi di tecnologia nucleare per sconfiggere il “
Satana americano” e noi con lui?
Con tutte le differenze del caso, il progetto di Lisi Raskin è il controcanto dello
Scontro di civiltà di Samuel P. Hungtington, presagio di una condizione epocale.