Try to imagine all life as you know it stopping instantaneously and every molecule in your body exploding at the speed of light. Sembra la frase enigmatica e ombrosa di qualche profeta visionario, chiuso fra le righe di un romanzo di Asimov. Ma si tratta solamente di una battuta presa a prestito dal film
Ghostbuster. Con questa frase, il ricciuto dottor Egon Spengler mette in guardia i suoi tre colleghi, sempre in cerca di ectoplasmi, dai rischi degli acceleratori nucleari che portano sulle spalle. I flussi protonici sprigionati dagli zaini, infatti, potrebbero, se incrociati, portare alla deflagrazione dei tre “eroi”.
Ed è con questo stesso
intento di poetica (cioè: provare a immaginare che la vita istantaneamente si fermi e che tutte le molecole contenute nel corpo esplodano alla velocità della luce) che si annuncia la seconda personale di
Riccardo Previdi (Milano, 1974).
La sua sarebbe dovuta essere un’indagine sulla struttura, sull’interpretazione e la percezione dello spazio, senza promessa alcuna d’una scoperta, oppure di sviluppo del tema né di una sua materializzazione.
Ma il progetto in galleria è di tutt’altra natura, e ben poco attinente alle premesse di presentazione.
T, la composizione principale della mostra, consiste in una serie di pannelli (fatti prevalentemente di abete multistrato) sui quali sono fissate immagini prese dal web, stampate su fogli A4 e poi fissate a parete. All’inizio della galleria, la forma e le dimensioni sempre uguali dei pannelli, per lo più assemblati con materiale da costruzione, sono fatti di assi e tavole per il fai-da-te. Sulla superficie di questi supporti sono riprodotti paesaggi atomici, fumate a fungo, deserti nucleari senza esseri umani e alcuni origami progettati per esser appesi alla facciata del museo di
Kenzo Tange.
La sovrapposizione di strisce adesive suddivide, inoltre, i pannelli in tre parti, rendendo l’immagine di partenza una sorta di decorazione che non ha più una compatta unità principale. L’intera tavola sembra tagliata in più sezioni, affilatissime, scombinando l’immagine apposta, che scompare inghiottendosi la storia di cui era portatrice.
Al centro della sala, poi, quattro corde nere pendono dal soffitto:
Egon,
Peter,
Ray,
Winston. Avrebbero dovuto rappresentare, oltre ai tre acchiappafantasmi più uno, i flussi laser dei quattro, divisi e pendenti nell’aria, elementi di stacco e moto contro la bisimensionalità schiacciante delle opere alle pareti.
Ma Previdi non fa altro che progettare quattro corde nere appese sul soffitto, posizionate a varia distanza. Mentre tutt’attorno (
Test) una serie di diagrammi e tavole per la calibrazione delle stampanti chiudono la prima e unica sala della galleria dedicata all’esposizione. Una mostra, inevitabilmente, interrotta.
Visualizza commenti
Immancabile citazione iniziale, opere formalmente/artigianalmente accattivanti e concettualmente curiose ed oscure. Oscure come la "ricchezza della mancanza". Direi la ricchezza del relativismo e dell'artigianato ruffiano. La ricchezza del vuoto. Berlino. L'ostinata volontà nel fare l'artista di professione.Il rispetto per gli artigiani.Gli impiegati di lusso.
la mostra di tuttofuoco è stata un remix di tutto.insipida. questa di previdi...interrotta, dice l'articolista.... a me pare evidente - oggi piu che mai - che il cosidetto gruppo super (tuttofuoco, previdi, buvoli) mostrino tutti i loro limiti. davvero "pochina" questa mostra per quelli che sono stati esaltati come i migliori...lascia molto a desiderare.
promesse mancate e svanite nel nulla.