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05
luglio 2010
La nomenclatura “grandi mostre” stimola diffidenza. Sembra
rispondere a una certa prassi cosmetica, molto contemporanea, per cui un
superlativo è sufficiente a giustificare un evento e a occultarne le carenze in
fatto di necessità, incisività e contenuti. Così spesso è stato, nelle
precedenti, annuali esposizioni comasche (dedicate, ad esempio, agli espressionisti
viennesi, a Miró,
a Magritte…).
Tuttavia, la “grande mostra” corrente – nonostante alcuni
limiti nell’allestimento e nella curatela: non ci si aspetti nuove prospettive
critiche o un apparato esaustivo dal catalogo o dai pannelli informativi – ha
indiscutibili motivi d’interesse.
Il nucleo del percorso è costituito da quasi trenta opere
di Pieter Paul Rubens, in gran parte prestate da musei viennesi. Si tratta di un discreto
résumé in grado di provare l’eclettismo del pittore “archetipo del barocco”. I
bozzetti per gli affreschi, ora perduti, del soffitto della chiesa dei Gesuiti
in Anversa, dove una singola pennellata struttura una forma, un volume, una
torsione, e la Vergine in gloria adorata dagli angeli, in cui le schiere angeliche
vanno a sfumare in una trasparenza lattea su nubi livide, introducono gli
aspetti più spregiudicati della ricerca formale rubensiana.
La varietà dalla cifra di Rubens ritrattista può essere valutata
nell’accostamento tra il leonardesco Studio di testa d’uomo, tutto dinamismo, e i colossali,
statici, istituzionali (e un po’ noiosi) ritratti di imperatori. Il Satiro
sognante è invece
un saggio d’invenzione compositiva: organizzato come un piano sequenza filmico,
dove il satiro dormiente è accostato a un display protopubblicitario di
vasellame assortito e, in alto, quasi in effetto flou, si palesa l’oggetto del
sogno.
C’è spazio anche per il Rubens che porta alle estreme conseguenze
la ricerca dei veneti sulla progressione verticale: molti i soggetti
raffiguranti ascensioni ed elevazioni, cominciando da Borea rapisce Orizia, riprodotto su tutte le affiche.
Non è sempre chiaro quale fil rouge critico – se non la prossimità
cronologico-geografica, oppure la provenienza viennese – sottenda
l’accostamento delle opere di Rubens alle opere altrui, spesso scene di genere.
Sono però da segnalare, nell’ultima sala dedicata alla natura morta, due
dipinti fronte/retro di un pannello. Da un lato, il trionfo della lucentezza
della materia e del mondo-oggetto che furono le Fiandre laiche e materialiste
nel Seicento nella Natura morta con pappagallo di Jan Davidsz de Heem. Come rovescio, la vanitas della strage occulta di volatili
nei recessi di un parco all’inglese (Pavone bianco, Jan Weenix).
Doveroso e necessario è invece il raffronto con il doppio
speculare van Dyck,
l’altro grande pittore di Anversa, del quale si propongono cinque opere. Tanto
esuberante e carnale appare la cifra di Rubens, quanto introspettivo e
intellettuale è il suo contraltare, al punto da rasentare l’espressionismo e
l’astrattismo nelle pennellate scarlatte e gialle che tagliano lo sconvolgente
sfondo metafisico del Ritratto di giovane uomo.
In conclusione, visitare la mostra lariana non aggiungerà
molto all’esperto di pittura fiamminga, ma garantisce una permanenza in mezzo a
opere notevoli e un’appagante esperienza estetica. Benefit non trascurabili.
rispondere a una certa prassi cosmetica, molto contemporanea, per cui un
superlativo è sufficiente a giustificare un evento e a occultarne le carenze in
fatto di necessità, incisività e contenuti. Così spesso è stato, nelle
precedenti, annuali esposizioni comasche (dedicate, ad esempio, agli espressionisti
viennesi, a Miró,
a Magritte…).
Tuttavia, la “grande mostra” corrente – nonostante alcuni
limiti nell’allestimento e nella curatela: non ci si aspetti nuove prospettive
critiche o un apparato esaustivo dal catalogo o dai pannelli informativi – ha
indiscutibili motivi d’interesse.
Il nucleo del percorso è costituito da quasi trenta opere
di Pieter Paul Rubens, in gran parte prestate da musei viennesi. Si tratta di un discreto
résumé in grado di provare l’eclettismo del pittore “archetipo del barocco”. I
bozzetti per gli affreschi, ora perduti, del soffitto della chiesa dei Gesuiti
in Anversa, dove una singola pennellata struttura una forma, un volume, una
torsione, e la Vergine in gloria adorata dagli angeli, in cui le schiere angeliche
vanno a sfumare in una trasparenza lattea su nubi livide, introducono gli
aspetti più spregiudicati della ricerca formale rubensiana.
La varietà dalla cifra di Rubens ritrattista può essere valutata
nell’accostamento tra il leonardesco Studio di testa d’uomo, tutto dinamismo, e i colossali,
statici, istituzionali (e un po’ noiosi) ritratti di imperatori. Il Satiro
sognante è invece
un saggio d’invenzione compositiva: organizzato come un piano sequenza filmico,
dove il satiro dormiente è accostato a un display protopubblicitario di
vasellame assortito e, in alto, quasi in effetto flou, si palesa l’oggetto del
sogno.
C’è spazio anche per il Rubens che porta alle estreme conseguenze
la ricerca dei veneti sulla progressione verticale: molti i soggetti
raffiguranti ascensioni ed elevazioni, cominciando da Borea rapisce Orizia, riprodotto su tutte le affiche.
Non è sempre chiaro quale fil rouge critico – se non la prossimità
cronologico-geografica, oppure la provenienza viennese – sottenda
l’accostamento delle opere di Rubens alle opere altrui, spesso scene di genere.
Sono però da segnalare, nell’ultima sala dedicata alla natura morta, due
dipinti fronte/retro di un pannello. Da un lato, il trionfo della lucentezza
della materia e del mondo-oggetto che furono le Fiandre laiche e materialiste
nel Seicento nella Natura morta con pappagallo di Jan Davidsz de Heem. Come rovescio, la vanitas della strage occulta di volatili
nei recessi di un parco all’inglese (Pavone bianco, Jan Weenix).
Doveroso e necessario è invece il raffronto con il doppio
speculare van Dyck,
l’altro grande pittore di Anversa, del quale si propongono cinque opere. Tanto
esuberante e carnale appare la cifra di Rubens, quanto introspettivo e
intellettuale è il suo contraltare, al punto da rasentare l’espressionismo e
l’astrattismo nelle pennellate scarlatte e gialle che tagliano lo sconvolgente
sfondo metafisico del Ritratto di giovane uomo.
In conclusione, visitare la mostra lariana non aggiungerà
molto all’esperto di pittura fiamminga, ma garantisce una permanenza in mezzo a
opere notevoli e un’appagante esperienza estetica. Benefit non trascurabili.
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Rubens
e i fiamminghi
a cura di Sergio Gaddi e Renate Trnek
Villa Olmo
Via Simone
Cantoni, 1 (zona Lungolago) – 22100 Como
Orario: da
martedì a giovedì ore 9-20; da venerdì a domenica ore 9-22
Ingresso:
intero € 9; ridotto € 7
Catalogo
Silvana Editoriale
Info: tel. +39
0254916; www.grandimostrecomo.it
[exibart]