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20
ottobre 2008
fino al 25.X.2008 Valentin Carron Milano, Docva
milano
Oggetti simbolo di un’identità culturale definita ricostruiti e stravolti con volontà dissacrante e ironica. Una riflessione critica sul kitsch d’Oltralpe e sui falsi miti della nostra contemporaneità affrontata in maniera grottesca e spiazzante...
Inaugurata in occasione di Start, la personale del giovane artista svizzero Valentin Carron (Martigny, 1977; vive a Ginevra e Fully) è divisa tra i due spazi espositivi dell’Associazione Viafarini: la sede storica nella via omonima, oggi adibita a residenza per artisti e curatori, e la nuova sede ospitata presso la Fabbrica del Vapore.
Legata visceralmente alla storia e alle tradizioni culturali del cantone svizzero da cui proviene, la ricerca artistica di Carron può essere riassunta usando il concetto tedesco di Heimat. Il termine, difficilmente traducibile in italiano, definisce il senso di appartenenza a un luogo, una patria in senso lato. La “terra d’origine” di Carron, la regione alpina del Valais, lungi dall’essere la patria di Heidi, la terra romantica, vergine e selvaggia spesso mitizzata nell’immaginario collettivo, è un luogo povero di storia, dalle tradizioni recenti, inventate per lo più alla fine del XIX secolo.
Le installazioni dell’artista svizzero sono costituite da sculture che riproducono elementi tipici dell’iconografia locale (prodotti artigianali, animali impagliati, simboli religiosi), decontestualizzandoli e rendendo evidente, attraverso il distacco critico, l’inautenticità di questi oggetti spesso elevati a simbolo dell’identità culturale regionale. Gli spazi della Fabbrica del Vapore sono occupati da otto esemplari identici di croci realizzate in legno e distinti solo dalla variante delle tinte bicolori. Nella sede di via Farini, quattro colonne tortili si ergono, simbolo di una lontana colonizzazione in epoca romana di quella parte di Svizzera e, ancora una volta, emblema di false attrazioni per turisti.
Paradossalmente, però, quello che contraddistingue le creazioni del kitsch alpino dagli altri oggetti della globalizzazione è che, pur essendo oggetti seriali, sono prodotti in modo artigianale e con materiali come il legno o la pietra. Lo stesso Carron riproduce questi simboli dell’arte locale utilizzando materiali poveri, come la plastica o il legno, e iterandoli in maniera ossessiva secondo un processo che deve molto alla Pop Art. Reliquie di un passato reso inautentico dallo svilimento della mitologia presente, questi oggetti sfidano anche deliberatamente il nostro vissuto individuale e le credenze religiose del nostro tempo.
Per Carron niente è più illusorio e vuoto dell’uso abusato e sconsiderato di questi simboli. Ed è a livello locale che gli effetti della globalizzazione sono più immediati e avvertibili. L’ironia e il tono dissacrante di Carron sono l’unica vaccinazione che rimane all’artista per smascherare l’ipocrisia dell’odierna società dei consumi di massa. Attraverso le sue opere, Carron denuncia lo svuotamento dell’apparato simbolico della tradizione del suo luogo natale, mostrandone la natura posticcia e artificiale.
Legata visceralmente alla storia e alle tradizioni culturali del cantone svizzero da cui proviene, la ricerca artistica di Carron può essere riassunta usando il concetto tedesco di Heimat. Il termine, difficilmente traducibile in italiano, definisce il senso di appartenenza a un luogo, una patria in senso lato. La “terra d’origine” di Carron, la regione alpina del Valais, lungi dall’essere la patria di Heidi, la terra romantica, vergine e selvaggia spesso mitizzata nell’immaginario collettivo, è un luogo povero di storia, dalle tradizioni recenti, inventate per lo più alla fine del XIX secolo.
Le installazioni dell’artista svizzero sono costituite da sculture che riproducono elementi tipici dell’iconografia locale (prodotti artigianali, animali impagliati, simboli religiosi), decontestualizzandoli e rendendo evidente, attraverso il distacco critico, l’inautenticità di questi oggetti spesso elevati a simbolo dell’identità culturale regionale. Gli spazi della Fabbrica del Vapore sono occupati da otto esemplari identici di croci realizzate in legno e distinti solo dalla variante delle tinte bicolori. Nella sede di via Farini, quattro colonne tortili si ergono, simbolo di una lontana colonizzazione in epoca romana di quella parte di Svizzera e, ancora una volta, emblema di false attrazioni per turisti.
Paradossalmente, però, quello che contraddistingue le creazioni del kitsch alpino dagli altri oggetti della globalizzazione è che, pur essendo oggetti seriali, sono prodotti in modo artigianale e con materiali come il legno o la pietra. Lo stesso Carron riproduce questi simboli dell’arte locale utilizzando materiali poveri, come la plastica o il legno, e iterandoli in maniera ossessiva secondo un processo che deve molto alla Pop Art. Reliquie di un passato reso inautentico dallo svilimento della mitologia presente, questi oggetti sfidano anche deliberatamente il nostro vissuto individuale e le credenze religiose del nostro tempo.
Per Carron niente è più illusorio e vuoto dell’uso abusato e sconsiderato di questi simboli. Ed è a livello locale che gli effetti della globalizzazione sono più immediati e avvertibili. L’ironia e il tono dissacrante di Carron sono l’unica vaccinazione che rimane all’artista per smascherare l’ipocrisia dell’odierna società dei consumi di massa. Attraverso le sue opere, Carron denuncia lo svuotamento dell’apparato simbolico della tradizione del suo luogo natale, mostrandone la natura posticcia e artificiale.
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a cura di Milovan Farronato
DOCVA – Documentation Center for Visual Arts
Via Procaccini, 4 (zona Cimitero Monumentale) – 20154 Milano
Orario: dal martedì al sabato ore 15-19; mattino su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel. +39 0266804473; info@docva.org; www.docva.org
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