È la prima volta a Milano dell’
Annunciata, uno dei quadri-icona del Quattrocento italiano, dipinta da quell’artista straordinario e ancora in parte inafferrabile che fu
Antonello da Messina (Messina, 1430 ca.-1479). L’opera è protetta da una teca in cristallo che ne esalta la preziosità ma non ne facilita la visione -soprattutto da certe angolazioni- a causa del fastidioso gioco dei riflessi sul vetro. Di recente è stata sottoposta a una serie d’indagini diagnostiche non invasive, ampiamente descritte nel catalogo dell’esposizione.
La Madonna di Antonello è una bellezza mediterranea, ha grandi occhi neri, zigomi pronunciati; il volto è un ovale perfetto. Un volto nel quale la critica riconosce un chiaro riferimento alle raffinate sculture di
Francesco Laurana ma soprattutto alle geometrie metafisiche di
Piero della Francesca. L’opera si colloca infatti nell’ultima parte del percorso artistico di Antonello, secondo alcuni nel 1475 -durante il soggiorno veneziano- mentre altri la ritengono di poco posteriore, del 1476.
In ogni caso dopo l’ipotizzato incontro con Piero, intorno al 1460, in un periodo in cui il pittore messinese ha perfezionato uno stile che è sintesi efficacissima tra il naturalismo fiammingo -conosciuto a Napoli ai tempi della sua formazione presso
Colantonio– e le ricerche prospettiche e volumetriche del Quattrocento italiano.
Geometria sì, ma non metafisica come quella di Piero. Antonello accoglie la compostezza formale e la scomposizione delle figure in solidi geometrici: ovoidale il volto, un cono il gioco dello scollo del manto trattenuto dalla mano sinistra, piramidale l’intera figura della Vergine. Ma tanto le figure di Piero sono algide bellezze dell’Iperuranio, tanto quelle di Antonello sono vive, possiedono un’anima che parla allo spettatore e le avvicina al mondo terreno sul quale le figure del pittore toscano non scenderanno mai. Quello che attrae dell’
Annunciata di Antonello, più della perfezione assoluta della forma, è la dimensione psicologica che la rende viva e reale. Lo sguardo enigmatico -dove e cosa guarda la Madonna?-, le labbra appena increspate da un accenno di sorriso, la reazione contrastante delle mani, con la sinistra che stringe il manto quasi intimidita dall’improvvisa apparizione dell’Angelo, e la destra che si distende decisa in avanti -Longhi la definì “
la più bella mano che io conosca nell’arte”- in un gesto che è difficile interpretare. Il viso, illuminato a destra e avvolto in una morbida penombra a sinistra, è concentrato e consapevole. La Madonna sembra già sapere tutto, forse ancor prima che l’Angelo parli.
Quell’Angelo che noi non vediamo -straordinaria invenzione iconografica, un’Annunciazione senza l’Angelo annunciante- ma di cui è possibile intuire la presenza. Grazie alla luce, questa sì metafisica, che illumina il viso di Maria, dal lieve soffio di vento che solleva le pagine del libro, ma soprattutto dall’attenzione intensa e mai spaurita che a lui rivolge la Madonna, le cui spalle sembrano ruotare impercettibilmente, sottraendosi a un’immobile frontalità.
Un’immagine che invita a soffermarsi a lungo e a osservare in silenzio per cogliere la magia di questa piccola tavola, che riesce a coniugare particolare e universale, senso del divino e toccante umanità.
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tutta la cultura passa e parte dalla sicilia!amen