La sensualità dell’effimero si specchia negli occhi del viandante che fa capolino alla finestra della Galleria Magrorocca di Milano, dove viene per la prima volta ospitata l’opera di
Kristian Burford (Waikerie, 1974; vive a Los Angeles). Un corpo nudo, accasciato su un divano, all’interno di una stanza sigillata.
Kathryn sta dormendo oppure è morta? È solo svenuta, e la causa pare essere il gatto della nonna che l’ha improvvisamente aggredita, ferendola al polso e alle dita. Che non è morta lo si capisce se si guarda molto attentamente. Il respiro della giovane è quasi impercettibile, il corpo è mosso da un meccanismo nascosto dietro al divano. La ragazza si è leccata il dito ferito sporco di sangue e tiene in mano il collare del felino, di cui non c’è altra traccia evidente se non con la statuetta in ceramica. La pelle venosa e trasparente, coperta solo da un paio di slip, ospita nei che sono come gocce di cioccolato.
Tutt’intorno, il caos dei gomitoli di lana sparsi a terra e di oggetti caduti stride con i soprammobili fiabeschi della casa. Un coniglio da
Alice in Wonderland, una sfera con neve, libri, piantine, statuette e uno specchio. Unico segno lasciato dall’artista, una sua foto da piccolo, sul tavolino vicino al telefono.
Kathryn è vera da far impressione, immobile in una posa quasi estatica, e non ci si stupirebbe se la scultura aprisse improvvisamente gli occhi. Trasuda una violenza elegante e raffinata, un erotismo onirico e adolescenziale, immersa in una teatralità ben studiata, dal make-up sbavato ai capelli compostamente spettinati, alla posa che richiama gli
“atteggiamenti passionali” di Charcot.
Traferitosi dall’Australia negli States perché
“c’è più fermento artistico”, dell’Italia loda il vino e la storia artistica:
“Ma immagino che per voi che ci siete nati e cresciuti, a volte, possa essere un peso tutta questa storia”.
La sua opera è un’espressione estetica nascosta sotto forma di fantasia sessuale e lo spettatore ne viene inevitabilmente coinvolto. Indagando sugli antefatti che hanno portato
Kathryn a giacere sul divano, si scopre infatti il gesto della masturbazione, messo in atto di fronte a chi osserva. La sessualità implicita, che è la radice stessa di tutte le esperienze estetiche, viene qui esteriorizzata in veste di soggetto. Una volta assimilata in tale maniera, la sessualità diviene qualcosa di più teorico, quasi filosofico. Si può dunque ritrovare una parte di se stessi all’interno di stanze che non ci appartengono, venendo sbalzati dentro un proprio passato, come quando dopo la scuola si andava dai nonni, come ha fatto
Kathryn.L’impianto strutturale che avvolge la ragazza con pesanti coperte potrebbe richiamare le ascensioni barocche, contrastando con il corso discensionale della macchia lasciata da lei. Negando qualsiasi apoteosi di grazia, immaginandoci come esseri fatti di sola apparenza.