Nell’immaginario comune Francesco De Grandi è ancora l’artista del pulp, delle megalopoli abbandonate in cui si aggirano terribili cani robotici, delle facce sfregiate e dei mondi in bilico tra il fumetto e la fantascienza, tra Bacon e Burroughs. Eppure il suo lavoro in questi ultimi anni si è fatto più complesso. Lo dimostra la serie di opere esposte a Milano.
Le prime tre tele, di grandi dimensioni, sono paesaggi dipinti per l’occasione. Non sappiamo però quanto si possano definire paesaggi questi tre angoli di mondo, che stanno lì per accogliere il visitatore ed immergerlo, ex abrupto, nell’universo visionario dell’artista. Una sorta di iniziazione ascetica ad un mondo in disfacimento, in putrefazione. Ma, in qualche modo, da quelle immagini sembra si possa nonostante tutto avvertire una sostanziale calma, che non è rassegnazione, ma stupore estetico, incanto. Solo avendo imparato questa lezione, avendo letto quest’introduzione visiva, si può entrare nel Pantheon privato di De Grandi. I Semidei, le “divinità dimenticate che non hanno più ricevuto offerte e preghiere; e hanno smesso di crederci loro stessi” come li definisce l’artista.
Horus, l’ubriacone; La madre di tutti, una specie di Diana Efesia trasfigurata dall’alcool e dalle troppe notti passate a soddisfare i desideri e le voglie dei viziosi; la Ninfa Siringa, amata da Pan e forse abbandonata, un’Ofelia vicina ormai al suicidio. Ad accompagnare i Semidei, un coro di venti Serafini; animali “schiacciati, rattoppati, modificati”. La chirurgia plastica delle loro modifiche e dei loro rattoppamenti si può seguire, work in progress, nella divertentissima monografia pubblicata per l’occasione, che raccoglie interviste, saggi, foto e ricordi.
Solo assimilando la prima lezione, dunque, si possono guardare queste opere senza coglierne solamente l’angoscia o il terrore; le chiavi di lettura più superficiali. “Il vero scandalo della vita è l’invecchiare, il corpo che si disfa e cede”, afferma De Grandi. E nel suo lavoro c’è la possibilità di affrontare questo scandalo, che accompagna tutti come destino comune, con un fondo di umorismo, che emerge soprattutto dagli stralunati animaletti. È la capacità di puntare lo sguardo su temi angoscianti e immediati -le paure di tutti- con freschezza e ironia.
stefano bruzzese
mostra visitata il 19 gennaio 2006
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De Grandi ...è un grande!
Quanta superficialità da parte di molti nel giudicarlo un depresso, un disadattato, un emarginato...
De Grandi, con il suo stile e la sua ricerca, riesce ad evidenziare ed a farci riflettere su di una condizione che cerchiamo quotidianamente di evitare, di tenere distante da noi.
Bravo De Grandi.
E basta! ci hai stancato sempre con 'ste solite menate delle periferie degradate e dei corpi zoo-morfi! cambia canale! Il cinema su 'ste cose è più avanti di te di tre millenni!
Un consiglio, cambia canale! Gli artisti che per trent'anni fanno sempre le stesse cose mi puzzano di gente che ha paura di perdere una fetta di mercato o semplicemente non possono fare diversamente perché glie lo impone il gallerista. Tutto ciò vuol dire codardia. Gli artisti senza coraggio non mi interessano!