L’esposizione ripercorre la ricerca artistica di Grazia Varisco (Milano, 1935) e Gianni Colombo (Milano, 1937-1993), allestendo due percorsi paralleli, ma distinti. Evidenziando la specificità di lavori etichettati troppo genericamente, dopo l’esperienza comune nel Gruppo T, come cinetici.
Nucleo generatore delle opere è lo sfondamento della superficie della tela per invadere lo spazio e architettare ambienti. Varcata la soglia della rappresentazione, aldilà della tela del quadro, l’arte ritrova il campo vitale dell’esperienza. Non presenta più opere finite, da contemplare nella distanza percettiva del soggetto, ma una loro rigenerazione perpetua nell’atto stesso della fruizione.
Attraverso sottili dislocazioni ottiche, Grazia Varisco spinge il visitatore sul bilico del vuoto, per fargli attraversare una zona-limite dove non ci sono più corpi o volumi che occupano una posizione, ma ambienti vibranti che vivono in una predisposizione. Non più amorfo contenitore di oggetti, lo spazio trova nuova modalità di esistenza nel vuoto, che non è un’assenza, ma un’apertura. Che fa spazio alle infinite potenzialità delle forme che nascono insieme allo spazio. La piegatura (tutta barocca, sebbene non esplicitamente) consente di generare spazi com-plessi e molte-plici, cioè piegati mille volte, non più sottoposti alle imposizioni della geometria proiettiva e di un pensiero analitico che dis-piega ed elimina ogni ombra alla luce della ragione.
Alle rarefazioni e agli sguardi concettuali della Varisco, Gianni Colombo preferisce, invece, riportarci al corpo, al suolo, alla gravità. La sua opera scarta la vista come mezzo di orientamento nello spazio, per recuperare una dimensione tattile e tastare per prossimità, contiguità, continuità, un ambiente qualitativamente differenziato.
Nessuna mappa ce ne può dare il disegno complessivo a priori: lo si conosce solo attraverso contatti intimi successivi. Aree dell’esperienza sensibile in cui i gesti dell’uomo si spazializzano in una relazione costitutiva con l’ambiente, le sue installazioni configurano un luogo sempre allo stato nascente, plasmato, incurvato e deformato dalle visite dello spettatore che fonda e feconda gli spazi ad ogni suo atto e movimento.
Due poetiche differenti, quindi, con cui, però, gli artisti ridisegnano le aree della Besana, trasmutandola in un altrove che consente di attraversare la nozione di luogo esplorando nuovi sensi e direzioni che sovvertono abitudini e regole d’uso.
“Siate fedeli alla terra” scriveva Nietzsche. Icaro cade quando tenta di sfuggire al labirinto volando verso il sole. Viene punito per aver osato rischiarare le profondità a-prospettiche del labirinto con uno sguardo sinottico. Il labirinto si conosce solo standovi dentro, percorrendolo, memorizzandone ogni località.
Ma Teseo batte il labirinto aiutato dal filo di Arianna. Più tardi il filo della logica erigerà il Partenone, geometrie euclidee, spazi cartesiani, privi di curve, zone d’ombra e dei. Dimenticando la possibilità di un luogo altro, topologico, umbratile e avvolgente, archetipo fondamentale della nostra tradizione.
sonia milone
mostra visitata il 6 febbraio 2006
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