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22
marzo 2010
Sei differenti punti di vista dai
cinque continenti, con un unico comun denominatore, quello di una visione al
femminile. Sei artiste accomunate dall’esigenza di un’espressività pittorica
tracciano uno spaccato della società di appartenenza, stimolando una
riflessione sulla diversità delle radici culturali e sulla loro evoluzione. Nel
tentativo di evidenziare le conquiste sociali da parte della donna – a livello
globale – soprattutto nel percorso dell’affermazione creativa. In un
allestimento destinato a coinvolgere direttamente lo spettatore, grazie alle
grandi tele che, calando dal soffitto, s’impongono allo sguardo.
Attività esclusivamente maschile
sino alla fine degli anni ’70, la pittura nella società aborigena racchiude
mito, tradizione arcaica e memoria, elementi alla base del linguaggio di Ruby
Williamson, che
riduce sinteticamente la rappresentazione del villaggio immerso nella natura
più lussureggiante per giungere a una sorta di astrazione formale, fra
cromatismi stridenti e un’istintività ancestrale. Monumentale e scenografica è
invece l’opera della promessa americana Rosson Crow, visionaria pittrice texana. Nel
turbinio di colori acidi, fluorescenti e sgocciolanti s’intravedono interni
metafisici di locali pubblici, bar e saloni barocchi, la cui atmosfera, nonostante
la natura vibrante del colore, appare congelata, sospesa in uno spazio senza
tempo. Tra assenza e rievocazione, in una dimensione di spazi scenografici
distorti e decadenti dove, al di là del gesto, sono la musica jazz e country a
farla da protagonisti. Così come nell’onirico Texas Painting, omaggio al musicista George
Straits.
Meno incisiva e d’impatto
l’iperrealista pittura dell’installazione di Iva Kontic: tre finestre aperte sulla città
distrutta di Belgrado. E se le vedute dall’interno buio di una stanza non
emergono per originalità della rappresentazione, la visione nostalgica
dell’artista non può, viceversa, passare inosservata.
Sono multidimensionali le
sorprendenti opere della sudcoreana Chung Suejin, affollate come in una sorta di horror
vacui, a
raccontare l’evoluzione di una società che cambia nel tentativo di
riappropriarsi della perduta identità. Un immaginario che, in una
rappresentazione estremamente ludica, solo a uno sguardo più attento si
affranca dall’appena suggerita inclinazione al consumismo.
Chiudono la mostra la sinuosa e
raffinata donna-manichino che si scarnifica, dell’irachena Hayv Kahraman – con riferimenti all’arte sumi
e alla miniatura
persiana, per denunciare abusi e violenze -, e le opere concettuali
dell’anglo-ghanese Lynette Yiadom-Boakye che, fra stratificazioni di colore e figure
aggressive che si muovono nel buio della notte, immagina il potere nelle mani
di una carismatica donna. Novella Lilith capace di trascinare il popolo.
cinque continenti, con un unico comun denominatore, quello di una visione al
femminile. Sei artiste accomunate dall’esigenza di un’espressività pittorica
tracciano uno spaccato della società di appartenenza, stimolando una
riflessione sulla diversità delle radici culturali e sulla loro evoluzione. Nel
tentativo di evidenziare le conquiste sociali da parte della donna – a livello
globale – soprattutto nel percorso dell’affermazione creativa. In un
allestimento destinato a coinvolgere direttamente lo spettatore, grazie alle
grandi tele che, calando dal soffitto, s’impongono allo sguardo.
Attività esclusivamente maschile
sino alla fine degli anni ’70, la pittura nella società aborigena racchiude
mito, tradizione arcaica e memoria, elementi alla base del linguaggio di Ruby
Williamson, che
riduce sinteticamente la rappresentazione del villaggio immerso nella natura
più lussureggiante per giungere a una sorta di astrazione formale, fra
cromatismi stridenti e un’istintività ancestrale. Monumentale e scenografica è
invece l’opera della promessa americana Rosson Crow, visionaria pittrice texana. Nel
turbinio di colori acidi, fluorescenti e sgocciolanti s’intravedono interni
metafisici di locali pubblici, bar e saloni barocchi, la cui atmosfera, nonostante
la natura vibrante del colore, appare congelata, sospesa in uno spazio senza
tempo. Tra assenza e rievocazione, in una dimensione di spazi scenografici
distorti e decadenti dove, al di là del gesto, sono la musica jazz e country a
farla da protagonisti. Così come nell’onirico Texas Painting, omaggio al musicista George
Straits.
Meno incisiva e d’impatto
l’iperrealista pittura dell’installazione di Iva Kontic: tre finestre aperte sulla città
distrutta di Belgrado. E se le vedute dall’interno buio di una stanza non
emergono per originalità della rappresentazione, la visione nostalgica
dell’artista non può, viceversa, passare inosservata.
Sono multidimensionali le
sorprendenti opere della sudcoreana Chung Suejin, affollate come in una sorta di horror
vacui, a
raccontare l’evoluzione di una società che cambia nel tentativo di
riappropriarsi della perduta identità. Un immaginario che, in una
rappresentazione estremamente ludica, solo a uno sguardo più attento si
affranca dall’appena suggerita inclinazione al consumismo.
Chiudono la mostra la sinuosa e
raffinata donna-manichino che si scarnifica, dell’irachena Hayv Kahraman – con riferimenti all’arte sumi
e alla miniatura
persiana, per denunciare abusi e violenze -, e le opere concettuali
dell’anglo-ghanese Lynette Yiadom-Boakye che, fra stratificazioni di colore e figure
aggressive che si muovono nel buio della notte, immagina il potere nelle mani
di una carismatica donna. Novella Lilith capace di trascinare il popolo.
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Five Continents
a cura di Daniela Palazzoli
Osart Gallery
Via Fogazzaro, 11 (zona Rotonda della Besana) – 20135
Milano
Orario: da lunedì a venerdì ore 14.30-19; sabato, domenica
e mattina su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel. +39 0254075553; info@osartgallery.com;
www.osartgallery.com
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