È il video a trasformare l’immagine in una nuova sostanza, a gettarla in un lento e progressivo processo di dissolvimento, non lontano da soluzioni che potremmo definire figurali. Nelle tre opere esposte da Raffaella Cortese, infatti, l’immagine umana, limpida e definita come in
An Album – Christopher House (2004) perde lentamente la sua nitidezza, per divenire ovattata e ridotta a sagoma in
An Album – Havana (2006), e scomparire del tutto in
A Wind Woman (2003), dove anche il paesaggio circostante viene stilizzato, perdendo i suoi caratteri di riconoscibilità.
Qui l’artista riprende confusamente sprazzi di cielo e cime di alberi durante un viaggio in automobile, abbandonandosi al movimento del vento e della telecamera; la bellezza del paesaggio osservato è restituita attraverso folate di luce e pennellate di colore, ma non mediante la sua naturalezza. Presentato per la prima volta alla Fondazione Bevilacqua La Masa in occasione dell’ultima Biennale di Venezia,
A Wind Woman ben sintetizza la recente ricerca artistica di
Kimsooja (Taegu, 1957; vive a New York), più che mai focalizzata sulla percezione e sull’impalpabilità di alcuni elementi -l’aria, la luce, il respiro- e sempre più sensibile a riflettere come uno specchio i mutamenti del mondo circostante.
Kimsooja, che concepisce da sempre i propri lavori come opere aperte e in divenire, torna dunque a indagare il concetto di tempo e della sua percettibilità legata alle sensazioni, agli stati d’animo, allo svolgersi degli eventi.
Nell’inedito
An Album – Havana, l’obiettivo riprende un gruppo indefinito di persone, di cui non vengono mostrati i volti, mentre passeggiano lungo la costa cubana; l’immagine è volontariamente sfuocata e questo espediente consente di velare la fisicità dei personaggi, che non sono più avvertiti come individui ma come semplici presenze. A differenza dei lavori precedenti, formalmente
Havana perde limpidezza, i colori si fanno più caldi e tenui, i contorni meno netti. Tuttavia, l’umano continua a oscillare tra due dimensioni, fisica e metafisica, sulla scia dei grandi temi che hanno impegnato l’artista fin dagli anni ’70.
Lo stesso può dirsi dell’allestimento, organizzato in modo fluido, secondo un’alternanza di vuoti e pieni. A queste tre proiezioni si è scelto infatti di non accostare i sei still da video originariamente pensati per la mostra. Il vuoto così creato dalle pareti sgombre diventa lo ying, secondo la concezione dualistica che da sempre accompagna i lavori di Kimsooja, che si relaziona con il suo polo positivo yang, nel quale simbolicamente prendono corpo le opere esposte.