Mai come in questo caso nomina sunt consequentia rerum, visto che il termine spagnolo “tàpia” significa muro d’argilla. Quasi una predestinazione nel nome di Antoni Tàpies (Barcellona, 1923) che nelle sue tele sembra ricostruire proprio dei muri, incisi e scavati da segni evocativi che talvolta ricordano i basic scribles, ma che più spesso rappresentano simboli di chiara significanza, vaghe figure d’uomo o addirittura brevi parole.
L’arte di Tàpies parla dell’uomo e lo fa attraverso materiali come terra, sabbia, resina e spesso oggetti. Questi però non vengono utilizzati come nei ready mades, in funzione autoreferenziale, ma per evocare una situazione, un contesto in cui l’uomo si sia mosso e che sia riconoscibile dallo spettatore. Ne è un esempio Matalàs del 1987, un materasso arrotolato su cui compaiono delle cifre e un cuore, oppure Grand blanc amb llauna blava del 1972, un assemblage in cui campeggia un bidone di metallo con etichetta azzurra che squarcia la tela per emergere nel centro dell’opera.
Nei primi anni della sua formazione, affascinato dal pensiero orientale e suggestionato dall’arte magica di Mirò e dalle opere di Picasso e Klee, Tàpies si accostò alle tematiche surrealiste, legandosi al gruppo spagnolo Dau al Set: nascono negli anni Quaranta i simboli delle croci e delle lettere “T” ed “M”, chiaramente riferite alla morte ed evocative della follia e della violenza della guerra. Fu dalla fine degli anni Cinquanta che avvenne la svolta in senso materico: nelle opere appaiono corde, capi di vestiario, oggetti d’uso comune; le tele cominciano a diventare quasi dei rilievi, stratificati di sabbia, gesso e sassi, tinte di colori sempre più smorti e aridi, che tendono al monocromo, come i bianchi, i grigi e le ocre.
Si tratta di dipinti sensuali, di una materia duttile che si presta docile ai segni che la feriscono e che hanno il compito di evocare il rapporto stretto che esiste tra uomo e materia (talvolta lo stesso autore cammina sulle opere ancora fresche e vi lascia l’impronta del proprio piede). Ed ecco allora Home anatomic del 2002, in cui campeggia la figura di un uomo scavata in una massa sabbiosa che viene spazzata via per dare vita alla sua sagoma, accompagnata da lettere e numeri sullo sfondo: l’uomo è materia, la vita è materia che nasce, diviene e si decompone.
Tàpies usa la tecnica pittorica del “matter”, stende cioè uno strato di vernice sulla tela che polverizza, prima che si sia asciugata, di vari materiali come sabbia o polvere di marmo a cui aggiunge infine il colore che applica in varie fasi, per lo sfondo e in seguito per la realizzazione della figura. La materia dunque, che si fa corposa, tende a crettare, come un muro e l’artista contribuisce all’effetto svellendo alcuni brani di materiale.
Sono esposti anche i quadri in cui Tàpies utilizzò come medium una vernice a base di resina sintetica, fluida, trasparente e di colore giallognolo, che dona alle opere degli anni Ottanta una delicatezza pittorica ben diversa dalla struttura dura e corposa delle opere precedenti: ne è un esempio Cap i vernis del 1990, che evoca il profilo esterrefatto di un uomo.
Di particolare rilievo inoltre è il vasto assortimento di libri d’artista esposto nella sala sotterranea, tra cui El pa a la barca, che realizzò nel 1963 sui versi di Joan Brossa. La produzione di questi libri è estremamente prolifica e Tàpies riuscì a rendere anch’essi fortemente materici, nonostante la bidimensionalità della pagina, avvalendosi di semplici tecniche come la piega molteplice del foglio, lo scontornamento o il collage di carte diverse e sovrapposte e la bruciatura dei margini.
articoli correlati
Antoni Tàpies Col-leciò
Burri, Tàpies, Klein e Antonakos: Maestri e Nuove Espressioni tra Genova e Istanbul
Tàpies. Scrittura materiale. Libri
irene giannini
mostra visitata il 3 maggio 2005
Alle Gallerie d'Italia di Vicenza, in mostra la scultura del Settecento di Francesco Bertos in dialogo con il capolavoro "Caduta…
La capitale coreana si prepara alla quinta edizione della Seoul Biennale of Architecture and Urbanism. In che modo questa manifestazione…
Giulia Cavaliere ricostruisce la storia di Francesca Alinovi attraverso un breve viaggio che parte e finisce nella sua abitazione bolognese,…
Due "scugnizzi" si imbarcano per l'America per sfuggire alla povertà. La recensione del nuovo (e particolarmente riuscito) film di Salvatores,…
Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…
La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…