È più forte di lui. Stringe mani a decine di fan, sorride ai flash, sforna fumetti personalizzati alla velocità della luce. Iperattivo e cosmopolita, specchio della sua sconfinata produzione artistica.
Il ragazzotto australiano che nel 1995 fece il botto confezionando
Space Puppy, primo
designer toy che avrebbe inaugurato un genere, piombato all’apertura della sua personale
Streets of Jeremyville alla milanese Area B, non si risparmia. Fa parte del personaggio: appariscente, glamour, incredibilmente
easy. Del resto, la semplicità è il marchio d’autore di
Jeremy (Australia, a cavallo degli anni ‘70), nome che si fa toponimo di brulicanti villaggi urbani impressi su dipinti, magliette, pareti, pupazzi, spille, skateboard.
Ben vengano le stampe serigrafiche, in vendita a prezzi accessibili al pari di alcuni pezzi unici, se questo suo stile accattivante, che gli ricorda molto “
un coniglio carino in un trip acido paranoico”, aiuta a rendere l’arte più democratica, veicolando un messaggio universale attraverso mezzi pubblicitari, proficua cartina di tornasole della società di massa. Durante i suoi happening (prima Milano, poi Napoli per la collettiva
Urban superstar, infine Roma), gli accessori-pitture dell’architetto con la passione smodata per il fumetto (“
Disegno ogni notte e quando volo: mai perdere tempo. Ho iniziato a 17 anni e non ho smesso più”) vanno a ruba. Pop art docet: non a caso, da angoli e strade d’innumerevoli sue illustrazioni sbuca il fedele
Gost of Andy, tributo al sommo
Warhol.
Se anche il medium, per Jeremy, è il messaggio, il contenuto delle sue storie – intatto apologo del cammino dell’uomo sulla terra, tra dolci epifanie, brutte sorprese e repentine cadute – resta preservato da ogni logica di consumo: come il mite galeotto di
The Prison (fumetto in dieci copie), che trova dentro di sé la forza per evadere col pensiero, trasformando la parete in strada alberata, sulla quale bonariamente incamminarsi.
I suoi dipinti, nonostante i colori vitali e rassicuranti, rappresentano allegorie assai più cupe della vita, popolata dalla morte e dal dolore per l’abbandono (
Once) o da inquietanti mostri che si affacciano sul futuro di placidi personaggi a passeggio (
The Clearing).
Nonostante l’inquietudine in agguato, nel complesso prevale l’ottimismo di un sereno disincanto. Fa parte del pacchetto, sembra echeggiare l’illustratore dalla mano prolifica, che ha collaborato con Adidas, Converse, Mtv e Coca Cola, e che concepisce il suo studio come una mini-azienda: “
Per me è liberatorio, offre alla mia arte infinite possibilità di evoluzione”.
Il messaggio, come per magia, arriva a tutti, senza bisogno di parole: “
La condizione umana è infinita, ma il mio tempo sulla terra no”, confida Jeremy con urgenza. “
Ho ancora migliaia di piccole vignette da disegnare. Cerco di farne almeno una a settimana”.