Rintracciare la costante intima di
Lucio Fontana (Rosario, 1899 – Comabbio, Varese, 1968) significa risalire all’intuizione folgorante, a quel particolare momento fecondo in cui l’idea esiste allo stato embrionale e viene fissata, concretizzata, formalizzata in un segno vitale, denso. “
Disegnare per Fontana”, afferma De Bartolomeis, “
significa esplorare le possibilità dell’espressione, ricercare, saggiare il potere dell’astrazione e del pensiero: ma significa anche servirsi di un mezzo idoneo senza la limitazione di un atto preparatorio, proprio per mantenere nel prodotto la vitalità e il movimento che egli ha messo dentro il gesto inventivo”.
Ecco che i 127 disegni del maestro italo-argentino, provenienti dal Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, acquistano tutta l’importanza di ciò che trattiene e documenta l’essenza di un percorso artistico, coprendo un arco temporale che si estende dagli anni ’30 alla fine degli anni ’60.
Le opere attestano una ricerca e un campo d’interessi poliedrici: dalla progettazione di allestimenti (si pensi a quello della Biennale del 1966, in collaborazione con
Carlo Scarpa) a inserimenti architettonici (le porte del Duomo), dai disegni di nudi (
Nudo femminile carponi, 1959) ai Teatrini, sino a quelli per ceramiche e sculture.
Molteplici sono i riferimenti, più o meno consapevoli, a una ricerca artistica di respiro internazionale: Bauhaus nel suo complesso, il segno evocativo di
Paul Klee, la pittura astratta di
Piet Mondrian, gli impasti cromatici di
Jean Fautrier e
Jean Dubuffet; senza tralasciare la deformazione plastica di
Rodin, la materia vibrante di
Medardo Rosso e il segno di
Henri Matisse.
Di estrema bellezza è
Studi di forme e figure caricaturali (1949), che ricorda i toni corrosivi e le composizioni affollate di
Grosz e
Dix. Evidente è anche il dialogo con i maestri del passato (
Pontormo e
Parmigianino) e il confronto con il Barocco (il disegno di
Bernini e
Borromini). Duplice appare lo stile dei disegni: grafia spezzata, fratta, mossa da un lato; dall’altro, una grafia continua, vicina alla tradizione espressionista e al segno scavato, vibrante di
Schiele.
La versatilità d’interessi procede di pari passo con l’opposta tendenza alla metodicità, l’esigenza sistematica dell’artista di fissare le proprie idee su fogli quasi sempre dello stesso formato, quasi sempre su carta bianca, e perlopiù intervenendo a matita o a penna.
I disegni di Lucio Fontana tratteggiano percorsi non necessariamente seguiti: talvolta possono trovare un’esistenza più complessa e duratura nell’opera successiva; in altri casi rimangono soltanto un abbozzo, una semplice variante di altre ipotesi, ad attestare una fase di meditazione, di riflessione dell’artista, il quale definisce il proprio ‘antidisegno’ un disegno antagonista rispetto a quello accademico.