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22
giugno 2010
fino al 26.VI.2010 Igor Mukhin Milano, Impronte
milano
Etiliche e pin-up, nostalgiche e glamour. Le generazioni cresciute nei fast food postsovietici offrono il lato più global di sé. Ma sarà poi così difficile essere giovani, nella Russia di oggi?
“Sono interessato soprattutto alle persone e mi
piacerebbe osservarle per strada, nei negozi, sui luoghi di lavoro, quando si
divertono in tutti gli aspetti manifesti della vita, ma a un passo di lupo, per
non urtare coloro sui quali è puntato l’obiettivo”. Quando nel ’55 Henri
Cartier-Bresson ha
preso il treno e se n’è andato a fotografare facce e sguardi dell’orso
sovietico, ha scelto la via del pudore, sottraendo da ladro gentiluomo minime
intimità.
Mezzo secolo dopo, Igor Mukhin (Mosca,
1961) tenta un’impresa analoga, ma se vogliamo ancora più difficile: quella di
registrare, da russo, i lineamenti del paese di oggi; rinunciando al ruolo
comodo di osservatore esterno, immergendosi fino alle ginocchia nel magma della
trasformazione. Scegliendo, per esemplificare al meglio l’idea stessa di
cambiamento, un cono ottico privilegiato: l’obiettivo pesca giovani e
giovanissimi, le generazioni del Gorbaciov testimonial di Pizza Hut,
dell’appiattimento globale, dello sradicamento delle tradizioni, della
sostituzione del samovar con la lattina della Red Bull.
A uscirne avvilito è il “passo di
lupo” cui si riferiva Cartier-Bresson. Impossibile, nella civiltà dei mass media,
cogliere qualcuno di sorpresa: e così Mukhin registra il volto estetizzato e
anestetizzato di piccoli russi a stelle e strisce; pose plastiche e finti
stupori, ingenuità costruite e profondità fasulle. Viene in mente la sporca e
bacata Grande Mela seventies di David Wojnarowicz, nella
serie Arthur Rimbaud in New York, con un figurante mascherato da
poeta incorniciato inespressivo tra drugstore, siringhe e grattacieli.
I soggetti di Mukhin non hanno
bisogno di maschere, perché sono maschere essi stessi. Insipienti e inebetiti,
forti della propria fragilità. Ragazzi tanto analcolici da sembrare, per quanto
sbronzi, ordinati. Ragazze talmente asessuate da risultare verginee anche nella
più disinibita volgarità.
L’obiettivo di Mukhin scansa il
rischio dell’“o tempora, o mores”: cerca lo sguardo diretto, l’occhio
in camera, il tu per tu; vuole la cronaca, la verità. Finisce, in qualche caso,
sedotto dalla forma: indugia sulla scenografia, si fa prendere per mano dalle
nipotine di Lolita sulle vie del gusto per una composizione a tratti di
maniera. Inventa siparietti osé, un po’ alla Carlo Mollino, giocando
sul tema dello specchio. Resistendo strenuamente alla complicità con l’immagine
riflessa.
piacerebbe osservarle per strada, nei negozi, sui luoghi di lavoro, quando si
divertono in tutti gli aspetti manifesti della vita, ma a un passo di lupo, per
non urtare coloro sui quali è puntato l’obiettivo”. Quando nel ’55 Henri
Cartier-Bresson ha
preso il treno e se n’è andato a fotografare facce e sguardi dell’orso
sovietico, ha scelto la via del pudore, sottraendo da ladro gentiluomo minime
intimità.
Mezzo secolo dopo, Igor Mukhin (Mosca,
1961) tenta un’impresa analoga, ma se vogliamo ancora più difficile: quella di
registrare, da russo, i lineamenti del paese di oggi; rinunciando al ruolo
comodo di osservatore esterno, immergendosi fino alle ginocchia nel magma della
trasformazione. Scegliendo, per esemplificare al meglio l’idea stessa di
cambiamento, un cono ottico privilegiato: l’obiettivo pesca giovani e
giovanissimi, le generazioni del Gorbaciov testimonial di Pizza Hut,
dell’appiattimento globale, dello sradicamento delle tradizioni, della
sostituzione del samovar con la lattina della Red Bull.
A uscirne avvilito è il “passo di
lupo” cui si riferiva Cartier-Bresson. Impossibile, nella civiltà dei mass media,
cogliere qualcuno di sorpresa: e così Mukhin registra il volto estetizzato e
anestetizzato di piccoli russi a stelle e strisce; pose plastiche e finti
stupori, ingenuità costruite e profondità fasulle. Viene in mente la sporca e
bacata Grande Mela seventies di David Wojnarowicz, nella
serie Arthur Rimbaud in New York, con un figurante mascherato da
poeta incorniciato inespressivo tra drugstore, siringhe e grattacieli.
I soggetti di Mukhin non hanno
bisogno di maschere, perché sono maschere essi stessi. Insipienti e inebetiti,
forti della propria fragilità. Ragazzi tanto analcolici da sembrare, per quanto
sbronzi, ordinati. Ragazze talmente asessuate da risultare verginee anche nella
più disinibita volgarità.
L’obiettivo di Mukhin scansa il
rischio dell’“o tempora, o mores”: cerca lo sguardo diretto, l’occhio
in camera, il tu per tu; vuole la cronaca, la verità. Finisce, in qualche caso,
sedotto dalla forma: indugia sulla scenografia, si fa prendere per mano dalle
nipotine di Lolita sulle vie del gusto per una composizione a tratti di
maniera. Inventa siparietti osé, un po’ alla Carlo Mollino, giocando
sul tema dello specchio. Resistendo strenuamente alla complicità con l’immagine
riflessa.
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Fotografie dall’Est
Le “scandalose” Polaroid di carlo Mollino
francesco sala
mostra visitata il 10 giugno 2010
dal 13 maggio al 26 giugno 2010
Igor Mukhin – È difficile essere giovani
Impronte Contemporary Art
Via
Montevideo, 11 (zona Porta Genova) – 20144 Milano
Orario: da
martedì a sabato ore 15-19
Ingresso
libero
Info: tel. +39
0248008983; info@impronteart.com; www.impronteart.com
[exibart]