La personale di
Dafne Boggeri (Tortona, Alessandria, 1975; vive a Milano) trasforma gli spazi espositivi di Careof occupandoli con una serie di installazioni che indagano i concetti di memoria, normalità e identità di genere. A partire dal titolo della mostra,
Vorrei che il cielo fosse bianco di carta, preso a prestito da una canzone sulla Resistenza, l’artista interviene servendosi di simboli e parole appartenenti alla nostra memoria collettiva, che stravolge alla ricerca di nuove composizioni e significati inesplorati.
Senza privilegiare un unico mezzo espressivo, ma servendosi di diversi media, Boggeri crea un percorso fatto di oggetti trovati e superfici costruite. Un soffitto costituito da pezzi di cartone bianco ridisegna profondamente la fisionomia dell’ambiente espositivo, immergendolo in un bianco nitido e immobile, enfatizzato ancor più dalle luci crude dei neon.
Nell’ambiente risuonano le parole spezzate del lavoro dedicato a Bettina Koester,
Stop me if you think you’ve heard this one before. Boggeri ha intervistato la musicista tedesca -protagonista della scena No Wave di Berlino e New York degli anni ’80- chiedendole di rispondere a una domanda riguardante la sua vita sentimentale. Il monologo di Bettina è stato diviso in parti differenti e registrato su diversi supporti audio, rendendo quasi impossibile ricostruire la narrazione della traccia originale. La privacy della cantante è in questo modo preservata e celata a orecchi indiscreti.
L’artista accenna ma poi nasconde, facendo solo intuire la complessità del discorso. La memoria delle parole di Bettina è consegnata ai diversi supporti audio che, posizionati in verticale su un piano, rimangono, scultura muta, a testimonianza di un racconto privato.
L’attitudine trasversale di Dafne Boggeri si rivela in queste collaborazioni, veri e propri cortocircuiti con altri sistemi artistici, in primo luogo con l’ambiente musicale. L’artista, dal passato di writer, è abituata a uscire dai luoghi deputati dell’arte per avviare sperimentazioni in spazi nuovi. Nascono così interventi come quello allo storico club parigino Le Pulp, raccontato in un libro d’artista.
Durante la serata di chiusura del club, Boggeri collabora con il collettivo musicale
Kill The Dj, dando vita a una performance all’ingresso del locale. Prendendo spunto dal rituale che si consuma abitualmente davanti agli ingressi delle discoteche di tutto il mondo, l’artista crea dei timbri extra-large da apporre sulle braccia di chi entra. Per qualche giorno questi segni rimarranno sulla pelle di chi si è riunito per ballare fino al mattino come un marchio di riconoscimento, che presto tuttavia scomparirà, così come si è materializzato.
Un’altra volta un segno che individua, ma che poi si perde nella memoria.
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sempre le solite cose concettuali alla milanese ma evolvetevi.
siete tutti uguali tutti prevedibili!
che noia noia