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19
maggio 2009
fino al 26.VII.2009 Esposizione universale Bergamo, Gamec
milano
Un’unica mostra in otto sezioni. Ma anche otto mostre in un unico, ampio percorso tematico. Opere d’arte di diversi periodi storici dialogano e dicono la loro su temi senza tempo. Per un’esposizione universale...
Le elezioni comunali sono alle porte in quel di Bergamo e, immancabile, giunge il tempo di bilanci e proclami. La Gamec offre il proprio contributo, allestendo una mostra che riassume le linee-guida che hanno caratterizzato la sua attività in questi anni, dettata dalla volontà di “esprimere una propria progettualità, al di là delle mode e contro una certa idea di ‘fare cultura’ della quale ora si sente parlare poco”. Ogni riferimento alle mostre organizzate a Brescia è qui esplicito, così come la sinergia con la dirimpettaia Accademia Carrara.
L’aggettivo “universale” del titolo costituisce il tratto comune a ognuno degli otto temi attraverso cui si snoda il percorso espositivo: il potere, il quotidiano, la vita, la morte, la mente, il corpo, l’odio e l’amore.
Nelle otto sale, le opere provenienti dall’Accademia si pongono in un rapporto dialogico con lavori d’arte contemporanea. Nonostante ogni stanza risulti concepita in modo autonomo rispetto alle altre, vi sono tuttavia alcuni elementi ricorrenti: in tutte le sezioni sono presenti lavori di Ben Vautier, che svolgono una funzione introduttiva e sanciscono una continuità tra gli ambienti; in ogni sala sono inoltre strategicamente disposte alcune opere in grado di offrire un capovolgimento drammatico o un sovvertimento ironico.
Nella stanza del potere, il giocoso arco di trionfo di Jimmie Durham e l’opera di Diego Perrone rappresentano il contrappunto sarcastico ai ritratti di potenti del periodo rinascimentale; nella sala della mente, la medesima funzione è affidata alla lapide in marmo con la scritta “Idiota” di Salvo; mentre la stanza del quotidiano, fra interni domestici carpacceschi e scarpe warholiane, ha la sua inversione drammatica con Mircea Cantor.
Se è vero che l’universalità delle tematiche consente di sviluppare ragionamenti ad ampio spettro, tuttavia fornisce l’alibi per inserire forzosamente alcune opere, dando vita a collegamenti piuttosto pretestuosi: nella stanza dell’amore vi è un ritratto di bambina eseguito da Giovanni Battista Moroni, che rappresenterebbe l’amore dei genitori per la figlia, dal momento che ne hanno commissionato un ritratto, e l’amore di Moroni per il proprio lavoro, data la grande accuratezza nell’esecuzione dell’opera.
Nella sala del corpo sono assenti esperienze come la performance e la Body Art. L’unico accenno a una concreta spazialità è dato dalla scultura di Anthony Gormley, mentre la stanza dedicata alla vita è forse quella più debole, poiché – data l’estrema vastità del tema – non vi sono lavori veramente rappresentativi che non possano essere ascrivibili anche ad altre sale.
Gli spazi più riusciti sono quelli dedicati all’odio e alla morte. Il primo sentimento è declinato nella Storia di Virginia Romana di Sandro Botticelli, fino ai coinvolgenti lavori di Daniel Spoerri, Thomas Schütte e Gilberto Zorio, con l’inquietante risata di Gino De Dominicis come tappeto sonoro. La stanza della morte si presenta in equilibrio fra un approccio meditativo e valori emozionali: risaltano la Crocifissione di Vincenzo Foppa, i bellissimi lavori di Lorenzo Lotto e Giovanni Bellini, e l’opera di grande suggestione di Victor Man, che costituisce un contrappunto in bilico fra il drammatico e l’ironico.
Dal serrato dialogo instaurato in queste due sale dalle varie opere si comprende il valore delle parole di Egon Schiele, quando affermava che “l’arte non può essere moderna, è qualcosa di eterno in maniera primordiale”.
L’aggettivo “universale” del titolo costituisce il tratto comune a ognuno degli otto temi attraverso cui si snoda il percorso espositivo: il potere, il quotidiano, la vita, la morte, la mente, il corpo, l’odio e l’amore.
Nelle otto sale, le opere provenienti dall’Accademia si pongono in un rapporto dialogico con lavori d’arte contemporanea. Nonostante ogni stanza risulti concepita in modo autonomo rispetto alle altre, vi sono tuttavia alcuni elementi ricorrenti: in tutte le sezioni sono presenti lavori di Ben Vautier, che svolgono una funzione introduttiva e sanciscono una continuità tra gli ambienti; in ogni sala sono inoltre strategicamente disposte alcune opere in grado di offrire un capovolgimento drammatico o un sovvertimento ironico.
Nella stanza del potere, il giocoso arco di trionfo di Jimmie Durham e l’opera di Diego Perrone rappresentano il contrappunto sarcastico ai ritratti di potenti del periodo rinascimentale; nella sala della mente, la medesima funzione è affidata alla lapide in marmo con la scritta “Idiota” di Salvo; mentre la stanza del quotidiano, fra interni domestici carpacceschi e scarpe warholiane, ha la sua inversione drammatica con Mircea Cantor.
Se è vero che l’universalità delle tematiche consente di sviluppare ragionamenti ad ampio spettro, tuttavia fornisce l’alibi per inserire forzosamente alcune opere, dando vita a collegamenti piuttosto pretestuosi: nella stanza dell’amore vi è un ritratto di bambina eseguito da Giovanni Battista Moroni, che rappresenterebbe l’amore dei genitori per la figlia, dal momento che ne hanno commissionato un ritratto, e l’amore di Moroni per il proprio lavoro, data la grande accuratezza nell’esecuzione dell’opera.
Nella sala del corpo sono assenti esperienze come la performance e la Body Art. L’unico accenno a una concreta spazialità è dato dalla scultura di Anthony Gormley, mentre la stanza dedicata alla vita è forse quella più debole, poiché – data l’estrema vastità del tema – non vi sono lavori veramente rappresentativi che non possano essere ascrivibili anche ad altre sale.
Gli spazi più riusciti sono quelli dedicati all’odio e alla morte. Il primo sentimento è declinato nella Storia di Virginia Romana di Sandro Botticelli, fino ai coinvolgenti lavori di Daniel Spoerri, Thomas Schütte e Gilberto Zorio, con l’inquietante risata di Gino De Dominicis come tappeto sonoro. La stanza della morte si presenta in equilibrio fra un approccio meditativo e valori emozionali: risaltano la Crocifissione di Vincenzo Foppa, i bellissimi lavori di Lorenzo Lotto e Giovanni Bellini, e l’opera di grande suggestione di Victor Man, che costituisce un contrappunto in bilico fra il drammatico e l’ironico.
Dal serrato dialogo instaurato in queste due sale dalle varie opere si comprende il valore delle parole di Egon Schiele, quando affermava che “l’arte non può essere moderna, è qualcosa di eterno in maniera primordiale”.
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matteo meneghini
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a cura di Giacinto Di Pietrantonio
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea
Via San Tomaso, 52 – 24121 Bergamo
Orario: da martedì a domenica ore 11-19; giovedì ore 11-22
Ingresso: intero € 7; ridotto € 5
Catalogo Carlo Cambi
Info: tel. +39 035399528; fax +39 035236962; info@gamec.it; www.gamec.it
[exibart]
Giacinto è sempre un gran furbacchione oligarca (si rammenta ancora la sua imposizione della depero ad un furla di qualche anno fà) ma la mostra è intelligente e ce ne fossero nel panorama istituzionale italiano (a partire dal’attuale nulla di viafarini).
io credo che ci si debba vergognare a presentare un progetto come questo
La mostra è bella ma, e da bergamasco mi duole riconoscerlo, è imparagonabile alla riuscitissima esposizione di Brescia. Questa volta in serie B ci siamo noi. pace amen
Ho visitato la mostra, e per la prima volta il GAMeC, domenica scorsa: grande delusione!
La proposta di “Esposizione Universale” è scarsa da un punto di vista curatoriale, davvero debole.
Ho trovato di scarso interesse/rilevanza alcune opere esposte, soprattutto se rapportate a un’istituzione importante come la proponente.
Infine l’allestimento: poco significativo e in alcuni casi deludente, come per le modalità di presentazione dell’orinatoio di Duchamp e la sua contestualizzazione nel percorso e nella sala.
Una realtà museale con potenzialità come quelle della GAMeC, per contesto territoriale e budget, dovrebbe essere affidata alla direzione di personalità giovani ed aggiornate, in grado di offrire forse letture più coraggiose del mondo dell’arte, di aumentare le presenze e di predisporre acquisti di maggiore portata e valore strategico.
Illusione…dolce chimera sei tu