Il collage è l’essenza del lavoro di Danny Rolph (Londra, 1967). Collage inteso non soltanto come tecnica, ma come condizione mentale, approccio artistico, modus vivendi. E che si esprime, sostanzialmente, in tre diversi livelli interpretativi.
Ciò che colpisce a prima vista è l’esplosione di forme, segni e colori. Grandi pannelli tridimensionali attirano lo spettatore nell’opera, a partire dagli strati superficiali fino a quelli più nascosti, aprendo visioni sempre più in profondità. Una morfologia geometrica aggrovigliata: forme sinuose cariche di energia e vibrante luminosità accostate ad elementi più austeri, spigolosi, cupi. Un addensarsi di elementi, un ritmo serrato. Predominano i colori decisi, squillanti, spaziando da una stesura levigata semitrasparente ad una campitura densa, pastosa. L’artista usa indistintamente acquarello, olio, acrilici, pennarelli, pezzi di cartone, ritagli di fotografie.
Un secondo livello di lettura ripropone l’idea del collage nell’accostamento ideale di artisti distanti tra loro per indole ed epoca –come Warhol, Schwitters, Tiepolo- che vengono inglobati nell’immaginario di Rolph per esserci restituiti sotto nuove forme. In una perenne mutazione che comprende una moltitudine di elementi presi dalla vita quotidiana: uomini, luoghi, oggetti. Tutti filtrati, trasformati, intensificati. Elementi art nouveau vicino alla porcellana svedese anni 50’, un vestito di Missoni e la cosmologia: la curiosità visiva ed intellettuale dell’artista non conosce limiti. Un recupero incalzante di materiali, immagini, ricordi.
La terza declinazione dell’idea di collage è concettualmente espressa nel titolo dell’esposizione: Obstraction, neologismo che fonde abstraction (astrazione) e obstruction (ostruzione) in un’unica parola. Obstraction come modalità di ostruzione dei consueti meccanismi della visione.
Scrive il curatore Martin Holman: “Rolph colloca possibilità visive in contorni, superfici, colore, tessuto, tatto, profondità e composizione, guidando poi questi elementi verso una collazione da lui stesso definita imprevedibile. Il risultato è come un acquario prosciugato in cui gli oggetti sono ancorati ad un terreno soggetto a modificazioni dai capricci di fenomeni caparbi.”
sylvia schiechtl
mostra visitata il 28 settembre 2005
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