“La patafisica è la scienza”, diceva nel 1898 il Dottor Faustroll. La scienza dell’irrealtà, dell’utopia, della beffa. Dell’arte che non prevede contrapposizioni di natura semantica. Che non assurge a dogma. Ma si abbandona al segno sciolto, a voluttuosi universi a metà tra incubo e fiaba, esplorabili unicamente declinando le facoltà percettive a favore dell’immaginazione. Il lavoro di Andreas Schulze (1955, Hannover), in mostra a Milano, congettura così l’abbattimento dello stato conoscitivo, dandosi alla violazione sfrenata dei codici della rappresentazione. E lo fa con sarcasmo. Partendo da un sistema di riferimento tradizionale, in cui è perfettamente inserito, elaborando le tecniche classiche della pittura e della ceramica, realizzata a Grottaglie dal maestro Franco Fasano. Con una sovrabbondanza di rimandi, da Arcimboldo ai surrealisti, che vanno ad innestarsi su una concezione attuale del design, creando veri e propri pezzi d’arredo. Vasi, lampade, centrotavola si vestono copiosamente di ornamenti biomorfi. Fiori, frutta, colori sfarzosi, superfici laccate conferiscono all’oggetto un aspetto ambiguo. Lussuoso, ma celante tra le righe un’aura mortifera. Un ammiccare al riguardante, invitato a superare fisica e trascendenza, nell’incontro con il delirio oppiaceo della patafisica. Schulze non dà un taglio interpretativo, non cerca una soluzione. Lascia che la sua arte agisca da lente deformante tra lo spettatore e l’universo delle cose. Che mutano in organismi viventi, senza nessuna pretesa d’esser altro da sé, scorrendo parallelamente ed indipendentemente rispetto al flusso irrefrenabile della realtà. Fantascienza pura, insomma.
Più coi piedi per terra, invece, Marco Belfiore, ligure, classe ‘80, ospite nell’altro spazio. Si presenta con un video, un’immersione improvvisa nel mondo dell’infanzia. Spiato con curiosità e nostalgia, con gli occhi di chi è appena diventato adulto. Patampa , questo il titolo, vuole essere
santa nastro
mostra visitata il 9 ottobre 2005
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