New York World’s Fair, 1939-1940.
Trylon e
Perisphere, due strutture moderniste,
vengono presentate sotto lo slogan “
Dawn of a new day” e diventano il simbolo della
corsa al futuro e delle forze all’opera per l’edificazione del mondo nuovo.
È sotto l’egida di questa suggestione che si costruisce la
mostra di Emre Hüner e Jonatah Manno, nel tentativo di trasportare in arte la
stessa forma di
realismo analitico che muove la lettura della contemporaneità per incidenti
e disastri di Paul Virilio e la teoria della società del rischio di Ulrich
Beck.
Prendendo a prestito l’energia della propaganda
progressista della fiera newyorchese,
Perisphere riflette sul colonialismo tecnico
contemporaneo e su quel limbo atemporale in cui l’ipertrofia del processo
tecnologico getta il mondo. E proprio nel fallimento della società di massa e
in quel particolare “
stato mentale collettivo” che oscilla fra terrore e
inconsapevolezza, i due artisti leggono un’era che consuma se stessa, in un paradossale
picco d’indistruttibilità e decadenza.
Emre Hüner (Istanbul, 1977; vive a Milano e
Istanbul) presenta due fotografie “di scena” prese durante la lavorazione del
video
Juggernaut,
lavoro artistico dalla fine qualità cinematografica – nato dall’innesto di
materiale d’archivio Nasa su una fitta maglia di riferimenti teorici – in cui
il paradigma del progresso è assimilato a “
una forza inesorabile che
distrugge tutto ciò che incontra sul suo cammino”.
L’immaginario pubblicitario, il
volontarismo propagandistico e la cieca fiducia nel progresso della metà del
secolo scorso diventano, nel video di Hüner, uno strumento critico nei
confronti della
cutting edge technology,
in cui l’utilizzatore sottopone a un rischio crescente la
propria stabilità e produttività.
I personaggi di Hüner si muovono
in una sorta di “tempo fermo”, impiegati in funzioni inutili e nel maneggio di
oggetti-simbolo, dove l’apparenza d’irrealtà è implementata da un sentore
“burocratico” kafkiano.
A bilanciare gli scatti, una
coppia di disegni a matita colorata, scenari utopici frutto dell’assemblaggio
di elementi naturali e architetture futuribili, la cui atmosfera
postindustriale, ibridata da tracce di tecnologia inattuale, reca l’ambiguità
come marchio.
Anche il lavoro sull’architettura di
Jonatah Manno (Lecce, 1977) si confronta con il
landscape sociale contemporaneo e col senso di straniamento che l’accompagna. In un
regime di
quijotismo postmoderno, l’individuo di Manno è posto di fronte al sistema, quasi
a calcolare il punto medio tra “
libertà personale e imposizione sociale”.
L’installazione
To a burning house set it on fire, composta da un tappeto di
asfalto e da una
maquette ottenuta dalla ripetizione di un
pattern decorativo di produzione
industriale, si focalizza su un subdolo “
inquinamento ideologico” che condiziona la nostra libertà
estetica, ipotecando la creatività con un sistema chiuso di possibilità.
Perisphere tira dunque le somme di questo nostro improvviso
risveglio in un “mondo nuovo”. Un’antologia minima sulla dimensione
esistenziale del rischio: scoperta, sofferenza, desiderio, previsione,
sorpresa.
Familiarity with today is the best preparation for the future.