“Nell’arte, e soprattutto nell’architettura, è importante verificare sia le intenzioni che le opere. Le opere non corrispondono alle intenzioni, spesso. Anche perché le opere dell’artista non si rivelano nell’intenzione. L’architettura è come la coscienza.” Sono parole di Franco Albini (1905-1977), uno dei grandi protagonisti dell’architettura italiana del Novecento. Straordinario architetto e designer, capace di controllare con la medesima eleganza scale diverse, Albini aveva una visione etica del progetto, fortemente connotata dalla necessità di contribuire con il suo lavoro alla qualità abitativa e alla costruzione dell’immagine urbana. Milano, Venezia e Genova sono le città della sua vita: a Milano si è laureato nel 1929 e ha avviato la sua professione di architetto, a Venezia ha insegnato dal dopoguerra ai primi anni Sessanta, a Genova ha costruito i suoi capolavori: i musei di Palazzo Bianco, Palazzo Rosso e del Tesoro di San Lorenzo.
Dignità e grazia sono le doti che lo caratterizzano e che non a caso sono effigi di una classe, quella borghese, di cui ha contribuito a fissare le coordinate dell’estetica abitativa. Maestro dell’architettura degli interni, Albini esprimeva la sua particolare sensibilità di progettista nel disegno degli spazi e degli oggetti domestici, come negli allestimenti per musei, esposizioni temporanee e padiglioni fieristici. Tutti ambienti effimeri, eppure, strano a dirsi, ancora sorprendentemente attuali.
Dispiace pertanto riconoscere nell’ambiziosa mostra che la Triennale di Milano dedica al centenario della nascita del maestro, Zero Gravity. Franco Albini. Costruire le modernità, la mancanza di elementi per
La forza delle sue posizioni si affievolisce nell’ostentazione dei pannelli aerei che, più che raccontare, illustrano acriticamente i grandi temi della poetica albiniana. La sua modernità senza cedimenti, innanzitutto, l’insolita capacità di dialogare con il passato guardando al presente (si pensi alle opere d’arte che Albini appende alle aste metalliche bianche per interpretare i segni della storia e aprire le vie per la creazione del nuovo).
C’è poi il fascino degli arredi, che concorrono all’armonia dell’abitare con il medesimo rigore geometrico con cui è disegnato lo spazio –le poltrone scelte da Silvana Annicchiarico lo dimostrano-, o l’ingegnosità delle soluzioni figurative degli allestimenti, come quello per la Mostra dell’Aeronautica, per la VI e VII Triennale di Milano o per la mostra Scipione e il bianco e nero alla Pinacoteca di Brera.
Ma è la leggerezza la grande qualità di Albini, qui poco evidenziata nonostante le immagini aeree. Leggerezza che diventa innovazione tipologica –i mobili smontabili per le colonie italiane (1937); la poltroncina Luisa (premio “Compasso d’oro” 1955) o la libreria con struttura tensile in legno e cavi d’acciaio ad esempio- o sfida strutturale, come nelle scale degli edifici Ina di Parma o della galleria di palazzo Rosso a Genova.
Lo sguardo malinconico e languido del ritratto di Irving Penn accenna all’umanissima timidezza di Franco Albini, uomo impregnato di silenzi (che gettavano nel panico allievi, amici e clienti) e poco incline ai fasti mediatici oggi in voga. In un’epoca in cui gli architetti mettono in scena rappresentazioni sempre più spettacolari, fanno riflettere la chiarezza del disegno tecnico attraverso cui Albini ha preferito esprimersi e la semplicità degli strumenti della sua arte: una matita, uno scalimetro e una gomma.
alba cappellieri
mostra visitata il 27 settembre 2006
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Una mostra interessante oltre che visivamente bella. E per chi è di Roma Albini lo si ritrova alla Rinascente di Piazza Fiume.