Installazioni, video, musica e pittura si fondono e si espandono silenziosi in un ambiente bianco e nero. L’assenza di luce naturale mette in rilievo la lentezza e l’apparente ordine geometrico delle opere, rispecchiando l’architettura genetica dei sei artisti. L’impianto generale appare divertente ed elegante, riuscendo così a far affiorare l’antico, le tradizioni, l’educazione silenziosa e crepuscolare di una cultura poco conosciuta e snobbata sino a poco tempo fa, dove il proverbiale calore mediterraneo ci appare lontano anni luce.
E’ infatti solo nella prima metà degli anni novanta, quando la geografia dell’arte andava ridisegnando centri e periferie, che lo sguardo di molti si è rivolto verso l’alto, arrivando sino alla cima del mondo. Ha così preso il via un fenomeno che ha visto gli artisti provenienti dai Paesi Nordici spopolare negli spazi espositivi mondiali, e che è stato suggestivamente definito Nord Miracle. Era il 1998.
Oggi questa esposizione è una piccola isola, lontana dal chiasso disordinato delle metropoli, un anfratto celebrale che ci consente volteggi su precisi binari dove la pesante pressione derivante dalla ricerca di un utopico modello di vita ci trascina paradossalmente nel quotidiano stesso. Pratiche artistiche che mettono a nudo le contraddizioni e le paranoie di una società altrove indicata come esemplare.
Ottima l’idea anche se poi si perde nel recinto dei pochi, rivelandone i limiti e la pulsante titubanza. L’ostentazione dell’azzardo è la consapevolezza stessa del limite. L’intero percorso è una bella linea nera su di un foglio bianco, ma non una retta, infinita e universale. Una esperienza che si chiude alle nostre spalle con un fantomatico clic off di una luce a neon. Freddo. Comunque da vedere.
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