Sono molte le collettive che hanno visto le loro opere co-protagoniste, ma a parte un’episodica mostra di metà anni ‘80,
Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994) e
Dadamaino (Milano, 1935-2004) non erano mai stati messi direttamente a confronto. Lo fa la galleria Matteo Lampertico con una mostra articolata e complessa, ulteriore tassello a confermare la qualità della programmazione dello spazio milanese inaugurato lo marzo scorso.
La rassegna si propone di analizzare affinità e divergenze tra i due artisti italiani. Un primo capitolo, dedicato all’“ossessione analitica”, sembra essere il principale. Assilli classificatori e manie catalografiche appaiono un dato comune a entrambi. Come ne
La ricerca del colore, con cui Dadamaino ha sviscerato metodicamente i rapporti tra le diverse componenti cromatiche dello spettro luminoso. Oppure in
Inconscio razionale, in cui l’artista ha lasciato spazio alle pulsioni del proprio inconscio, lasciandosi libera di disporre linee sulla tela con una regolarità non programmata. Opera che sembra fare
pendant con il
Cimento dell’armonia e dell’invenzione in cui Boetti sviluppa un dialettica tra una regola formale, rappresentata dalla griglia prestampata di un foglio a quadretti, e l’intervento dell’artista che la ricalca a mano liberamente.
Probabilmente è da ricollegarsi al lato pulsionale anche la continua ricerca sulla parola, che per entrambi sembra volta a saggiare possibilità e paradossi del linguaggio. Come avviene nei cifrari boettiani, tra cui quello che dà il titolo alla mostra (
Immagine somiglianza), o nella libertà di composizione nei suoi quadrati di parole, che nel grande
Immaginando tutto sembra sottrarre le lettere alla necessità di significazione. Oppure nella costituzione di un proprio alfabeto personale, come nell’assente
Alfabeto della mente di Dadamaino, anticipato in mostra da
Le associazioni, un flusso di libere associazioni di parole scritte a macchina.
La ripetizione, secondo capitolo della mostra e per certi versi continuazione del primo, vede confrontarsi come opposti le commissioni per i lavori a biro o gli arazzi affidate ad altri da Boetti e l’intervento diretto di Dadamaino, che compone le proprie opere con la manualità di un’artista operaia.
Interessante, infine, un terzo capitolo del confronto dedicato alla dialettica di vuoto e pieno. L’opera di Dadamaino appare attraversata da una tensione verso l’immaterialità che si esprime come costante della sua opera, dagli esordi dei
Volumi, caratterizzati da tele con larghi squarci ovali, fino agli ultimi lavori della serie
Il movimento delle cose, che rispondono all’esigenza di “dipingere nell’aria”. Al contrario, Boetti sembra interessarsi alla pienezza e alla saturazione dello spazio coi suoi
Aerei a biro che si affollano sulla carta e soprattutto nello spazio indistinto di
Tutto, dove le più diverse sagome si sommano le une alle altre, costituendo un ammasso indifferenziato.
La mostra fornisce una soddisfacente panoramica dei due artisti, soprattutto nella parte dedicata a Dadamaino, in grado di ricostituirne, con poche lacune, le parti più significative dell’opera.