Petra Mrzyk (Nuremberg, 1973) e
Jean-François Moriceau (Saint-Nazaire, 1974; vivono a Parigi) si conoscono dalla metà degli anni ‘90 e da allora formano un sodalizio umano e professionale che li ha portati a lavorare con svariate agenzie di comunicazione e a realizzare un video per gli Air. Oltre, naturalmente, a esporre presso il Musée d’Art Moderne di Parigi, il PS1 di New York e il Lacma di Los Angeles, fra gli altri.
L’illustrazione sconta la reazione pregiudizialmente ostile di chi la considera un’arte minore e stupisce che gli stessi Petra e Jean-François preferiscano riferirsi al loro lavoro con il termine “disegno”, quando esistono illustratori eccezionali -proprio in Francia,
Alexandra Compain-Tissier e
Sophie Griotto, per esempio, ma anche
Karen Oxman e
Klaus Haapaniemi a Londra,
Christian Montenegro a Buenos Aires,
Alice Chan a Hong Kong o
a New York, solo per citarne alcuni- le cui opere ben difficilmente si potrebbero considerare in un ruolo ancillare rispetto alle arti belle.
Ma va bene così, dal momento che sembra si stia assistendo a una sorta di rinascenza del disegno, non necessariamente solo d’oltralpe. Quando si chiede alla coppia d’adozione francese se esista qualche disegnatore rispetto al quale si sente più o meno affine, risponde con brevità lapidaria:
Raymond Pettibon.
Petra e Jean-François sono artisti estremamente riservati, di poche e necessarie parole. Parla da sé il loro stupefacente vocabolario visivo personale. Invero nell’enorme “installazione” che copre finanche i muri della galleria non si possono non vedere anche le tracce di un
Dalí -con una “citazione” della Venere a cassetti-, un
Escher -per la caratteristica compenetrazione delle forme in una figura del loro progetto pluri(di)segnico- e perfino
Jacovitti nel salame tagliato!
Ma questi sono dettagli e senza alcun dubbio lo stile fluido ed eccentrico e i personaggi a fumetto fanno pensare a Pettibon e a
Félicien Rops, numi tutelari della coppia che, attingendo all’immaginario quotidiano, sembra rivisitare
la carne, la morte e il diavolo -soggetti cari al “maledettismo” artistico- con stile surreale e fantastico. Realizzando con un lavoro in bianco e nero, su carta e sulle pareti, a quattro mani e basato sull’interscambiabilità-difficile dire chi-ha-fatto-cosa, è quasi un segreto professionale- scenari di sogno e vere e proprie gag tra forme e personaggi: un orso che si scola lattine di birra seduto sul letto e gli occhi rivolti al cielo stellato, uccellini appollaiati sull’intestino di cui si stanno cibando e uccellini kamikaze provvisti di cintura esplosiva, seni e gambe deambulanti.
Contesti completamente assurdi e impossibili, stemperati d’ironia e dunque pervasi d’innocenza, vere e proprie espressioni di potenza creativa, coma la pompa di benzina che si spara in testa con la sua stessa pistola.