Dell’AIDS non c’è più traccia. I media generalisti a caccia di facile sensazionalismo sembrano aver trovato altro pane per i propri denti implacabili e anche l’arte contemporanea, dopo il boom di interesse degli anni ’90, non pare occuparsene molto. Eppure, negli ultimi tempi, si registra una crescita vertiginosa dei contagi, soprattutto tra i giovanissimi dei paesi industrializzati. Perché, allora, non se ne parla più? Stigma di Elmgreen & Dragset rappresenta e al contempo denuncia questa rimozione collettiva di un problema purtroppo ancora attualissimo. Infatti, se i progressi farmaceutici, riducendo drasticamente la mortalità, hanno raffreddato gli allarmismi mediatici che a metà anni ’90 terrorizzavano la massa, hanno, però, depotenziato la percezione del pericolo di contagio proprio tra i giovanissimi, non ancora nati quando di HIV si moriva. Grottesco effetto collaterale di farmaci dai micidiali Side Effects, il caro prezzo taciuto di una sopravvivenza quasi normale, almeno in apparenza. Questa edulcorazione della questione complice della rimozione collettiva si gioca anche sul versante estetico, come colgono gli artisti in Side Effects (2015),una serie inedita di vasi in vetro soffiato riempiti con i pigmenti color candy utilizzati per rivestire di innocenza pastellata la reale tossicità delle pillole di ultima generazione per neutralizzare l’HIV.
Disposti singolarmente, oppure a gruppi di due o tre, riproducono dosaggi e combinazioni giornaliere dei farmaci antiretrovirali. I tenui toni pesca, rosa, verde menta e azzurro celano la Truvada, l’Atripla, il Stribild e l’Isentress, caramelle confettate all’interno di urne esposte su bassi plinti in acciaio inossidabile dal sapore autoptico, condensando in immagine il contrasto tra una facciata esteticamente ‘normalizzata’ e un risvolto ‘collaterale’ agghiacciante che nessun esorcismo color pastello può mitigare. Nausea, vertigini, diarrea, emicrania, eruzioni cutanee, lipodistrofia e conseguenti mutazioni corporee ricordano troppo quella fragilità organica che ci illudiamo inconsciamente di eludere attraverso la smaterializzazione digitale imperante. Insomma, la società è, ancora una volta, vittima dei suoi tabù. Ieri era il pregiudizio radicato di una società perbenista che preferiva ammalarsi e morire in silenzio piuttosto che parlare di argomenti scomodi, oggi è la paura atavica della morte che spinge l’umanità a rimuovere il proprio versante organico con l’effetto contrario di esporsi maggiormente al contagio e di accelerare la tanto temuta fine.
Una dura consapevolezza che il nordico duo ci impone nello spazio intimo e più raccolto della seconda sala con TRACES (2015), un’unica istallazione scultorea costituita da una singola stella filante dei medesimi colori dei vasi dimenticata appesa a una lampada da parete accesa, come quel che resta di quel goffo tentativo di rimozione confettata, di spegnere la luce sulla fine incombente che, invece, è ancora lì, accesa a ricordarcelo. E Stigma è il potente segno, appunto, di quella fragilità irriducibile che persiste, come il sapore amaro di un’illusione, nel retrogusto un po’ nauseante di un farmaco travestito da caramella.
Martina Piumatti
mostra visitata il 9 maggio
Dal 3 maggio al 27 giugno 2015
ELMGREEN & DRAGSET. STIGMA Massimo De Carlo
Via Privata Ventura, 5-20134 Milano
Orari: da martedì a sabato 11.30 -19.30
Ingresso libero
Info: milano@massimodecarlo.com; www.massimodecarlo.com