Franz Ackermann (Neumarkt St. Veit, 1963) espone per la terza volta presso la galleria Giò Marconi, che ospita contemporaneamente le opere di Giulio Paolini. Il piano terra è dedicato all’artista tedesco, che lo occupa con una coinvolgente installazione, appositamente creata, che mescola tele, sculture, fotografie e pittura murale.
Colpiscono innanzitutto i grandi dipinti dai colori squillanti, in cui la predominanza dell’arancione, a volte affiancato al rosso, risalta sui blu, i verde petrolio, i viola. Questi colori, saturi e senza sfumature, si stendono in superfici geometriche senza delimitazioni lineari, contrapposte eppure coesistenti con il regno dell’informe: compaiono infatti segni filiformi a matita, fitti raggi di cerchi con un centro espanso, oppure grumi di colori sfumati e sovrapposti, nuclei magmatici dalle tonalità terrose.
In una delle sale le tele sono poste su enormi bancali di legno insieme a piante, foglie intrecciate, banani, palme, cortecce, cubi dipinti; è presente anche un’imbarcazione in legno e sul perimetro di tutta la sala corre una serie di fotografie scattate nell’ultimo viaggio di Ackermann in Sud America. Le immagini, ingenuamente pittoresche, sono quelle che chiunque non si accontenta di una vacanza in villaggio turistico porta a casa convinto di aver immortalato l’angolo più significativo e nascosto di un paese esotico (insegne di negozi, stazioni degli autobus, strade, palazzi, case…). Altrove una tela delle stesse imponenti dimensioni fronteggia un casotto in legno (abitazione sulla spiaggia tradizionale o per avventurosi turisti?). In un’altra sala il dipinto è posto sulla parete di fondo dipinta di nero; sulle due laterali, sempre in nero, è ritagliata una prospettiva di finestre in stile capannone industriale da cui traspare una luce ancora una volta arancione. In ultimo, al di sopra di una tela stavolta più piccola, la parete dipinta mostra dei fori circolari: da lì si può assistere alla proiezione di un filmato della sfilata del carnevale di Rio.
Sembra insomma che ancora una volta, il tema, come in tanta parte della produzione artistica, soprattutto letteraria, sia quello del viaggio: ma non più mitico, di iniziazione, esperienziale. Più prosaicamente, e in sintonia con i tempi, è un viaggio “turistico”. Tra ironia e ingenuità, il viaggiatore (e l’artista) vede e rielabora la realtà: nelle tele che appaiono inizialmente del tutto astratte, si scorgono alcuni elementi (ad esempio alberi, mare, palazzi) che mettono in forse la loro riconoscibiltà nella moltiplicazione e nella sovrapposizione dei piani e dei punti di vista, quasi si trattasse di una scomposizione cubista. Si crea così una nuova realtà che vive una vita propria nell’immaginario dell’artista prima e dello spettatore poi, che coinvolge ed eguaglia gli elementi naturali e quelli artificiali, costruiti. Con un effetto spettacolare.
Resta il dubbio che l’immediata e facile lettura in chiave “turistica”, anche se sottilmente critica, esaurisca con troppa banalità il significato dell’opera. Il merito dell’artista è quello di aver creato un’atmosfera colorata, vacanziera, ma allo stesso tempo vagamente inquietante e malinconica.
anna m. colombo
mostra visitata il 4 giugno 2007
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In un rigoglio di colori, nell'intreccio disarticolato di rami e palme vediamo indumenti informi, come per caso abbandonati, e la vela che della scena sottolinea la fissità e l'innaturale assenza di vento : l'installazione di Franz Ackermann diviene così la fantasmagoria di un viaggio in quelli che sono o stanno per divenire 'tristi tropici'.
elisabetta potthoff: orribili queste cinque righe che hai scritto
Molto bello il commento di Giò all'opera di Franz Ackermann!