Lo studio di Claudia Gian Ferrari non è molto grande. O, per lo meno, gli spazi espositivi, con l’invasione dei lavori di Luigi Ontani (Vergato, 1943; vive a Roma) tendono a restringersi. La ricerca vibrante dell’artista, profusa a colori e a materiali, rischia di travolgere persino uno sguardo distratto. Bisogna passeggiare con concentrazione, e soffermarsi con una certa dose di distacco, su ogni oggetto, evitando di cadere nella trappola-wunderkammer. Altrimenti si rischia di esasperare, guardando con troppo focus, una ricerca simbolica che andrebbe al di là di un giudizio di tipo estetico e compositivo.
Ogni elemento nasce infatti da una precisa scelta, una ricercatezza che si fissa, quasi feticisticamente, sui dettagli. Quella cura intima che l’artista aggiunge, toglie, recide, e infine s’accapriccia. Il risultato di questa leziosità è trasposto su qualsiasi supporto l’artista decida di imprimere. In ogni volto, su ogni stelo di fiore, su qualsiasi occhio apotropaico o girotondo di danze si nota una versatilità e un’incredibile compattezza espressiva, che si trasmette dolcemente di materia in materia.
In galleria la fisionomia di Ontani rimbomba e si concede in pose ieratiche. Subito entrando, sulla parte sinistra, è stata appesa, in grande formato, una fotografia del 1975. L’artista nudo e di schiena si torce, fino a portare il profilo a tre quarti. Nel movimento avvolge un panno di seta blu attorno a sé, accompagnando il vortice immaginario che sembra non finire nemmeno in primo piano. Nella parete frontale all’ingresso campeggia uno specchio illustrato con civet
Ontani sposta il proprio immaginario rendendolo una sorta di rete protettiva. Una muraglia fantasiosa che ingloba e re-interpreta il mito. Ne sono ad esempio le tre sculture marmoree disposte al centro della sala, sulla parete laterale e su una base torrita a destra dell’entrata. In ognuna di queste composizioni l’artista è presente come parte integrante della narrazione mitica. La più curiosa tra queste opere, create ad hoc per la galleria di Claudia Gian Ferrari, è la fontana che ritrae l’artista come una Leda concupita dai movimenti insinuatori di un cigno-Zeus. Ogni particolare, dalla posizione di apertura dei corpi, alla scelta dei diversi marmi per innestare le decorazioni, è una ventata di lucidità. Particolarmente difficile, per i maestri carraresi, deve essere risultato scolpire il passaggio di questi due corpi che si compenetrano. Difficile soprattutto per la minuziosità della resa fisionomica e per la stabilità esatta delle proporzioni. Un percorso questo che, per chi non sapesse leggere la pazienza artigiana della scultura, risulterebbe carnascialesco e, a tratti, quasi stucchevole.
ginevra bria
mostra visitata il 20 aprile 2007
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