Spesso il mondo è costretto a parlare solo a causa della verità. Quella giustizia eletta come paladina del reale visibile e del suo contrario fantasma, a difesa delle forze malvagie portatrici di intenzionalità annientanti. Il vero si manifesta come un accessorio preminente che mantiene il sopravvento grazie alla figurazione e a ogni eversiva espressività umana. Così, quel che si vede o si percepisce, sintetizzato e tratto in salvo, fuori dalla scienza della definitezza, diventa preda dell’ostinazione e si assoggetta a un confronto apolide e paradossale, sostenuto dalla certezza dei dati senza misurabilità, dati mantenuti al di là di ogni ragionevole dubbio. E di ogni possibile volo immaginifico.
Con il progetto
Tarantula e i morsi
scopici delle sue visioni, invece, la verità non si interroga, ma balla e viene ballata, impazzando sul mondo; quel velo in secondo piano steso appena più in là della macchina da presa. Ciascun scenario agito e introiettato, secondo diversi punti di vista, verrà presentato fino al 27 luglio attraverso quattordici video d’artista, uno per ciascun giorno della settimana, con due proiezioni alle 18 e alle 20, con una sequenza in seconda replica a partire dal 14 luglio.
Chiunque dovesse passare da piazza Duomo, in questi giorni, non potrà fare a meno di alzare lo sguardo, come se dovesse far caso a un tabellone pubblicitario, per poi invece incappare nella trappola, nella ragnatela tessuta da
Tarantula. Tanto l’occhio di chi decide di tirare diritto quanto quello di chi decide di soffermarsi sulle immagini, diventerà facile preda dei video che animano questa rassegna pubblica, proiettata su cinquecento metri quadrati di facciata potenziata a led, attorno ai ponteggi del Palazzo dell’Arengario. Ognuno, passando in rassegna i veleni e le spire, acquisirà una coscienza smagata sull’incapacità dell’individuo contemporaneo di insediarsi e di avvertire l’appartenenza a un corpo, un recinto che nemmeno costituisce più fissa dimora, tanto nell’ordine di tramite del divino quanto della natura o della sua stessa origine.
Chi verrà colpito dal morso (o dalla morsa) immaginaria di
Tarantula, dunque, diverrà a sua volta preda e testimone oculare di vere e proprie possessioni d’artista. In serie, sullo schermo si passerà dalle reazioni ripetitive e iper-sezionate dei video a
emissione costante sulle circoscrizioni spaziali (
Zone, 1971) di
Vito Acconci ai tributi più acidi, trasparenti, appiattiti e asfittici posti attorno alle smorfie di
Pippilotti Rist (
À la belle étoile, 2004). A seguire, si sono avvicendate le aperture immense delle città tridimensionali di
Patrick Tuttofuoco (
La noce d’oro, 2005), che cancellano con un solo colpo di mano lo spazio e il tempo reale, per una più visionaria dimensione della vita come videogioco di un luna park. Occorre necessariamente essere preparati ai fotogrammi mitraglianti di
Aïda Ruilova (
Uh oh, Almost e
I have to stop), che sceglie di proiettare rapidissime scaglie di crisi urlate da soggetti sospesi.
Lo scorso sabato, invece, sono sfilati gli omaggi
alicecooperiani (
Alice Cooper, 2001) alle lotte, alle danze invasate e alle micro-impalcature inventive di
John Bock. A partire da domenica 6 luglio si alternano giornalmente: le lunghe danze di
Gillian Wearing (
Dancing in Peckham, 1994), i karaoke poetici (
Foolish Thing, 2002) di
Roberto Cuoghi, le delicate scene di
Victor Ampliev (
Summer lightning, 2004), il divertente e travestitissimo
Cancan! di
Rä di Martino, per poi passare attraverso le anticheggianti mosse girevoli di un burattino (
Children’s Crusade, 2004) diretto da
Marcus Schinwald, che precederà le immagini senza nome di rose che sparano fulmini (
Rennaissance Rose, 2008) e ballerine che fendono l’aria saltando sollevate davanti all’obiettivo di
Trisha Donnelly.
Dopo le proiezioni di
Klara Linden e di
Johanna Billing,
Tarantula chiuderà con le atmosfere funky di
Mark Leckey, ultimo posseduto di questa carrellata di liberati nel segno dell’estasi.