Dopo gli esordi come fotografo soprattutto di paesaggi,
Francesco Radino (Bagno a Ripoli, Firenze, 1947) propone immagini che riflettono sugli oggetti, sui prodotti dell’attività umana, spesso artistici, pittorici, architettonici, scultorei. L’esposizione è suddivisa in tre “stanze del tempo”, in ognuna della quali Radino offre una fotografia pensata, meditata, che si affianca alla parola scritta per riflettere ed evidenziare i significati più sottili dell’opera. Gli scritti dell’autore (uno per ogni “stanza”, in catalogo ma non esposti accanto alle immagini) nascono insieme alla sua produzione e la completano.
La prima sezione, con opere in bianco e nero eseguite tra il 1984 e il 2000 in Italia e in Giappone, è intitolata
Metonimie. Scambio di parole, immagini al posto di qualcos’altro? Come la mano di
Metonimie #1, abbandonata su un tavolo, capace di “indicare la via”, di rappresentare la natura di un legame umano. O la teca contenente farfalle da collezione di
Metonimia #3, che suggerisce l’idea del tempo fermato, immobilizzato, raccolto e archiviato in una “stanza”: del vissuto, della memoria, del pensiero.
La sezione intitolata
Re-visioni presenta una serie di dettagli pittorici e scultorei alterati da inquadrature oblique e ravvicinate e dalla sovrapposizione di zone dai colori tenui (il rosa, l’azzurro). È in questa parte della mostra che si può maggiormente notare il carattere pittorico e materico delle opere di Radino. Qui, come altrove, le immagini risultano sempre delicate, aggraziate. Ma contemporaneamente è possibile apprezzare una grande maestria tecnica, una profonda conoscenza del mezzo fotografico. In particolare, in
Stesso tempo si nota una speciale sfocatura dall’effetto “liquido”.
Le opere di questa sezione, tutte datate 2007, si compongono perlopiù in coppie di immagini sovrapposte (incisioni, quadri, statue, stanze), in cui sono alternativamente messi a fuoco i due piani dell’immagine. Si tratta dunque, ancora una volta, di una riflessione sul tempo che si svolge in passaggi successivi, concatenati, inscatolati eppure diversi: l’essere presente contemporaneamente e nello stesso luogo; l’utilizzo di immagini provenienti da un passato non necessariamente definito ma evocativo per molti, a volte privato, a volte collettivo; la mutevolezza, l’instabilità, oppure la permanenza temporale; le cesure operate sul tempo o sugli oggetti; lo spazio così trovato all’immaginazione. Quasi assente visivamente, si può indovinare la presenza della “persona” nel pensiero a cui queste immagini invitano.
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