Talking to Wittkower è una personale che presuppone la corrispondenza di due mondi. Uno
fuori e uno dentro, chiusi a ridosso, senza barriere nel mezzo.
In questa mostra, l’artista instaura un discorso proprio
sulla scultura, un dialogo immaginario con lo storico berlinese Rudolf
Wittkower, che nel 1970 tenne un ciclo di conferenze sulla pratica plastica,
innovandone l’approccio analitico e di sistematizzazione. In maniera
circostanziata e induttiva, per la prima volta nella storia dell’arte
accademica, le opere scultoree e la loro storia vennero affrontate tenendo
conto delle tecniche utilizzate, della loro evoluzione nel tempo. Spostando in
secondo piano il principio dell’evoluzione dell’opera.
Pretenzioso,
Michele Chiossi (Lucca, 1970; vive a Milano), “osando” scomodare le lezioni di
Wittkower, basa le proprie ricerche sulla scultura, sfruttando incrinature e
risvolti nascosti nello zuccherino marmo di Carrara. La scelta del materiale,
delle opere di grandi dimensioni, ben installate negli spazi della Galleria
Effearte, è dovuta tanto alle sue origini quanto alla duttilità ludica che la
lavorazione può dare al minerale, di natura friabile. Il marmo, in
Talking
to Wittkower, viene
affiancato a resine, neon colorati, lavorazioni in foglia d’oro, vernici da
carrozzeria e schiume poliviniliche che riproducono i volumi di gruppi
scultorei della classicitĂ .
Essere in dialogo con Wittkower significa dunque per
Chiossi considerare scelte di prassi e aspetti formali trascurati, come la selezione
dei materiali e degli strumenti idonei per lavorare la materia, concedendo a
questo tipo d’indagine un’importanza fondamentale. Concentrato sulla capacitĂ
tecniche della sperimentazione, l’artista toscano progetta una serie di lavori
utili a mettere in prova un ristretto numero di materiali, proposti poi secondo
un saltuario percorso storico: dal Medio Evo al Rinascimento, dall’Ottocento ai
giorni nostri, cercando di re-interpretare gli insegnamenti di Wittkower.
Quattro lavori ripropongono le linee guida di questa
personale, stabilita all’insegna della
poetica d’inventario;
quattro
opere
che riutilizzano il
Rinascimento, come in
Heraldry (bassorilievo in marmo con intaglio a zig zag e neon colorati, che rendono la
luce un elemento plastico); lavori che prendono di mira l’Ottocento come in
Mumble
Mumble Gum, dove Chiossi emula
Rodin,
tra l’argilla, la resina e i chewing-gum masticati come pensieri. Il Romanticismo
viene sfiorato in
Theory of Color, video
che reinterpreta gli studi di Goethe, attraverso forme e vaghe proporzioni de
La
PietĂ di
Michelangelo, gruppo
fuso tra colature di materia-colore.
Da ricordare anche
Bubble Architour, una colonna in marmo alta due metri,
imprevedibilmente scolpita come un rotolo industriale di pluriball; un gioco
tridimensionale dal sapore
trompe l’oeil, breve intervento che spezza il ritmo poco scandito di una mostra che,
purtroppo, rispetto alle lezioni di Wittkower, ha poco da insegnare e ancora
molto da imparare.
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Ah, che piacere leggere almeno ogni tanto una sana e accurata stroncatura. Viene voglia di andare a vedere la mostra e farsi un'idea: insomma, quello a cui dovrebbe servire la critica.