Aderire ad una scuola o ad un movimento spesso può essere una briglia che va stretta, un limite che ingabbia la creatività dell’artista e che sovente viene abbandonato col tempo. Non è tuttavia il caso di Antoni Tàpies (Barcellona, 1923), artista catalano, esponente dell’Informale spagnolo, che per quanto attento ad una certa condivisione di intenti e sentimenti, trasforma sempre la sua adesione in termini assolutamente personali.
I suoi primi studi interessano soprattutto Dubuffet e Fautrier, presto dimenticati per passare alla Pop Art e all’arte concettuale, sempre vissuti con spirito libero e indipendente. I colori della terra dominano le sue tele di grandi dimensioni (marroni, ocra, rossi bruciati), fino ad arrivare ad un triste e opaco nero totale, come se il sole infuocato della calda Spagna avesse incendiato ogni cosa. In altre opere il bianco incontaminato è distrutto da piccole incisioni, che tagliano in modo convulso la superficie. La terza dimensione spesso è raggiunta in un gonfio rigurgito della tela, come in Marrò, del 1958.
Per Tàpies il gesto precede sempre la riflessione, l’irrazionale domina sulla ragione, in accordo con le teorie della psicanalisi e in particolare col movimento surrealista, a cui l’artista si è profondamente interessato. In questo risiede soprattutto la sua originalità: è l’inconscio che deve far affiorare dall’opera la natura vera dell’artista e dell’umanità tutta. Il pittore vuole dipingere il quotidiano e la vita contemporanea, che dopo la Seconda Guerra mondiale, si fa tragica e dolorosa.
Lo stesso Tàpies ha dichiarato: “Attraverso le mie opere cerco di affrontare i problemi della coscienza: incito lo spettatore ad intervenire sulla coscienza per condurlo ad una visione più profonda del quotidiano”.
Come in tutti gli artisti dell’Informale, la forma viene abbandonata perché insufficiente a spiegare un mondo incomprensibile e desolante. L’artista grida il proprio dolore con coraggio e umiltà, così tanto sottolinea Luciano Caprile, curatore del catalogo di questa mostra milanese.
vera agosti
mostra visitata il 16 dicembre 2006
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