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Il ‘terrain vague’ dell’autodeterminazione delle identità è la preda perfetta per una ridda infinita di suggerimenti che aiutano l’individuo a scegliere tra identità minime, provvisorie, intercambiabili e indossabili come un vestito; e più ampia è la possibilità di scelta in questo campo più sono gli impulsi esterni che strattonano la persona in mille direzioni opposte, fino a deformarne i connotati”. Così le parole di Stefano Castelli, curatore della doppia personale milanese di Marta Sesana e Piero 1/2Botta, tratteggiano il lavoro dei due giovani artisti, i quali fanno della figura umana il tema prediletto del loro lavoro e del processo di dissolvenza e ricostruzione della forma il proprio credo stilistico.
I personaggi di
Marta Sesana (Merate, Lecco, 1981; vive a Milano) sembrano nascere da un coagulo di parti precariamente aggrappate l’una all’altra, insinuando il dubbio o, meglio il pericolo che si scompongano per tornare alla loro forse originaria separazione. È un senso d’insicurezza, di precarietà diffusa che si sprigiona dai suoi corpi, sorretti a fatica da una stesura pittorica che procede per ampie campiture di colore, dov’è possibile rintracciare il gesto pittorico cézanniano. L
e imponenti, opulente figure di Sesana, inoltre, segnalano una certa affinità con quelle forme altrettanto monumentali del gruppo italiano Novecento, nate dal clima di
rappel à l’ordre degli anni ’20.
Eppure, Marta Sesana compie un passo ulteriore. La gravità dei corpi di Novecento qui si frantuma, si corrompe per mezzo di una tecnica pittorica fortemente debitrice nei confronti del suddetto
Cézanne. Quel Cézanne che sfalda le forme, che le fonde con il paesaggio, ma che trattengono ancora i segni dell’avvenuta compenetrazione con l’ambiente che le circonda. Ecco allora che le pennellate blu della montagna Saint-Victoire condividono la stessa ragion d’essere delle macchie verdi de
La visionaria o de
L’attrice – per citarne solo alcune – di Sesana.
L’arte di
Piero 1/2Botta (Fermo, Ascoli Piceno, 1977; vive a Fermo e Milano) si spinge oltre nel disfacimento della figura. I suoi volti sembrano così prossimi all’esplosione da dimenticare i connotati reali e mantenere un contatto con l’umano solo tramite le superfici – scabrose, materiche – e per mezzo dei colori, in particolare un rosso sensuale che istintivamente richiama la carne.
E seppur si potrebbe essere erroneamente tentati a ricondurre i volti di 1/2Botta all’espressività istintiva, immediata, spontanea dell’Art Brut di
Dubuffet e dei disegni infantili, e nonostante la trama della superficie fatta di grumi di colore possa far pensare alle tendenze neo-espressioniste, qui tuttavia non vi è nulla di irrazionale, incontrollato, inconscio. Tutto è sottomesso all’arbitrio pianificatore dell’artista, tutto è calcolato con beffarda ironia. Con una sregolatezza soltanto apparente.